Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2018
Come la vita ci cambia il cervello
Il libro di Edelman, del 1987, rimane un testo fondamentale sull’organizzazione morfologica e funzionale del sistema nervoso centrale umano, anche se non tutte le sue ipotesi sono state confermate. Nel 1995 fu pubblicato da Einaudi ed ora l’editore Cortina, opportunamente, lo ripropone, in una traduzione parzialmente rivista dallo stesso curatore dell’edizione precedente. Una concezione generale del sistema nervoso centrale, ammoniva la grande biologa Agnes Arber nel prezioso, ed oggi dimenticato, saggio The Mind and the Eye del 1954 (pubblicato in italiano da Vallecchi nel 1991), deve spiegare come le percezioni diventino parte delle attività psichiche e fisiche. Ciò è tanto più complesso in quanto l’integrazione comporta la conciliazione di tendenze opposte, ad esempio l’insicurezza nel prendere una decisione, i contrasti fra desideri, tendenze, opzioni, concezioni, principi, ecc.
La visione generale rigidamente riduzionistica di Edelman si basa sul principio che la natura individuale di ciascuno di noi rispetta un’organizzazione neurale geneticamente preordinata, che gli stimoli sensoriali e l’intera e poliedrica esperienza modificano nel corso della vita. Secondo il population thinking, il pensiero popolazionale, fondamento della biologia che risale ad osservazioni di Darwin e che Edelmam segue rigorosamente, ogni essere vivente pluricellulare è diverso da tutti gli altri e la selezione naturale agisce non sulla specie in astratto ma sui singoli individui. La singolarità dipende dai geni e dall’epigenesi. Come una percezione di qualsiasi natura entri a far parte della coscienza e ne modifichi i meccanismi nervosi influenzando epigeneticamente il nostro modo di essere e la mente sono il tema del poderoso studio del premio Nobel per la medicina del 1972 per scoperte fondamentali di genetica. I suoi contributi alle neuroscienze cognitive non sono meno rilevanti.
Uno dei compiti chiave del sistema nervoso è, per Edelman, di realizzare la categorizzazione percettiva e di raccordo del mondo non ancora esplorato. Già Jean-Pierre Changeux aveva avvertito che la complessità del genoma non era sufficiente a chiarire l’immensa complessità delle connessioni del sistema nervoso, che non possono non essere parzialmente attribuite ad eventi epigenetici. Lo sviluppo del sistema nervoso centrale e la sua capacità di modificarsi morfologicamente per via epigenetica secondo l’esperienza sono processi di selezione continua di gruppi di neuroni preordinati e delle loro connessioni sinaptiche in risposta agli stimoli, alle sollecitazioni, alle costrizioni, cioè agli inputs dell’esperienza. La struttura del cervello, che ci fa essere ciò che siamo, cresce, si modifica e si sviluppa entro i tralicci generali della base genetica senza un progetto predeterminato, per la duttilità del parenchima corticale di modificarsi secondo l’esperienza (neuroplasticità). Ogni percezione, per Edelman, è un processo di adattamento più che di conoscenza e veridicità. Esso seleziona all’interno di repertori primari costituiti da reti di neuroni combinazioni di gruppi neuronali la cui attività è la più congruente con ciò che è percepito. Per Edelman le percezioni sono atti creativi, perché, selezionando le strutture nervose congenite più consone all’ambiente e alle circostanze, modificano continua mente la struttura del cervello, e quindi il pensiero e la vita. La competizione selettiva che governa la natura regola l’organizzazione morfologica dei tessuti, e quindi anche la corteccia cerebrale. La selezione durante l’esperienza è principalmente dovuta ad un’amplificazione differenziata di popolazioni sinaptiche, grazie al rafforzamento di alcune di loro e all’indebolimento di altre, senza grossolani mutamenti anatomici. I gruppi neuronali più adatti all’ambiente, cioè quelli selezionati dagli impulsi dell’esperienza, si collegano più strettamente, in competizione con altri gruppi neuronali meno consoni alle condizioni di vita. Le percezioni prevalenti inducono un rafforzamento selettivo delle mappe neuronali più utili per affrontare la realtà. L’esperienza del mondo e le esperienze interiori (riflessioni, meditazioni, convinzioni, stati emotivi, ecc.) modificano continuamente la struttura cerebrale, potenziando le strutture nervose più congruenti con l’esperienza e con le sue esigenze. Da qui il nome, azzeccatissimo, di darwinismo neurale. Il modello dinamico della morfologia e del funzionamento del cervello spiega come il significato di uno stimolo sia diverso da persona a persona, dal momento che le esperienze di ciascuno di noi, che hanno selezionato gruppi neurali diversi, sono uniche. Da qui la nostra singolarità.
Lo stesso vale per la memoria, evento chiave della coscienza, che, secondo Edelman, è un’ininterrotta ricategorizzazione del passato in aree cerebrali continuamente ristrutturate dall’esperienza. Da ciò la contemporaneità con cui riviviamo il passato secondo ricordi – che sono eventi chimico-fisici – che cambiano col cambiare delle strutture in cui sono depositati. Tutto quanto facciamo, materialmente e mentalmente, è una continua riorganizzazione unidirezionale. Anche se lo volessimo con tutte le forze, non ci è consentito di cancellare il nostro passato e di ripartire da zero: ci modifichiamo continuamente rimanendo noi stessi.
L’educazione seleziona e potenzia quanto nel cervello è geneticamente presente, e non di più: chi, ad esempio, non ha talento musicale, può studiare musica fino all’esaurimento senza risultato. Il grande impatto della teoria di Edelman sulla cultura non solo scientifica è dovuto alla plausibilità delle spiegazioni di meccanismi fondamentali dell’esistenza. Non cede alla tentazione di spiegare l’autocoscienza umana: ne descrive le strutture nervose in cui essa avviene e il loro sviluppo, ma non la natura di evento biologico. Essa rimane preclusa all’umana conoscenza, perché prodotto dagli stessi meccanismi cognitivi che l’indagano.
La rilettura, non sempre agilissima, del libro di Edelman è ancora oggi un’esperienza molto proficua.