Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2018
Quando è un quadro a essere un «fake». Storia del più geniale falsario del secondo Novecento, Wolfgang Beltracchi
Dopo 35 anni di ininterrotta attività baciata da un successo internazionale, la sconveniente battuta d’arresto era giunta a ciel sereno, sottoforma di un tubetto di colore bianco. Per la precisione, un bianco con tracce di titanio: con un componente cioè, introdotto sul mercato per usi industriali già nel 1916, ma commercializzato per il mondo della pittura e usato regolarmente da artisti solo dopo la Grande Guerra. Una meschina quanto fatale buccia di banana, visto che il dipinto per il quale era stato utilizzato, era stato venduto come opera datata 1914 e a caro prezzo: 2,4 milioni di euro, la cifra più alta mai spuntata per una tela con la firma di Heinrich Campendonk, apprezzato artista tedesco del gruppo del Cavaliere Azzurro.
Quadro rosso con cavalli era solo uno dei 14 falsi venduti complessivamente per una trentina di milioni di euro, che nell’autunno del 2011 l’accusa aveva sottoposto come prova alla giuria del tribunale di Colonia, per far condannare Wolfgang Beltracchi, nome d’arte di Wolfgang Fischer, oggi considerato uno dei più grandi falsari della seconda metà del Novecento, a 6 anni di carcere. Per altri dipinti inventati di sana pianta, una quarantina documentati, era già opportunamente intervenuta la prescrizione.
Quel processo fu turbinoso come un vento sahariano e fece corrugare qualche fronte non solo in Germania, instillando negli osservatori alcune perplessità sulla filiera del mercato dell’arte dei nostri giorni, visto che le gesta dell’oggi 67enne dal talento versatile e dall’aria scanzonata, riuscirono a screditare in un sol colpo uno stuolo di storici dell’arte, periti, mercanti, galleristi, nonché case d’asta di risalto planetario, che si profusero in scuse, affermando costernati di essere stati gabbati e calpestati nella loro buona fede. Fra questi Werner Spies, ex direttore del Centre Pompidou e massimo esperto di Max Ernst, che aveva certificato sette opere di Beltracchi come autenticamente create dal grande surrealista, e che poi si cosparse il capo di cenere: «Che volete che dica? Non ci sono cascato solo io: tutti i direttori di museo, tutti i mercanti, anche la moglie di Max Ernst erano convinti. Beltracchi è un falsario geniale».
Un’ammissione che, proferita da labbra così prestigiose, indusse decine di proprietari di opere comprate dalla metà degli anni 80, a tremare e far analizzare i loro costosi acquisti da laboratori scientifici, prima di sguinzagliare frotte di avvocati alla volta di un risarcimento almeno economico: «Nelle mie ricerche su Campendonk avevo trovato il titolo Quadro rosso con cavalli, per una sua opera andata perduta e di cui non vi era alcuna immagine, ma che figurava nel catalogo del 1920 della Galleria Flechtheim», ricorda Beltracchi nella sua autobiografia L’arte della falsificazione, fornendo un chiaro esempio del suo modus operandi, che più tardi ha riassunto anche come filologica azione per regalare al mondo le opere che non potevano e non dovevano mancare nel catalogo dei vari pittori. Dipinti scomparsi, come nel caso di Campendonk, o che semplicemente gli artisti avrebbero dovuto dipingere, ma per qualche motivo non erano nate al mondo.
La maggior parte della pena Beltracchi la scontò in regime di semilibertà, tornando in cella solo per dormire. E questo nonostante profluvi di interviste e dichiarazioni pubbliche con cui irrideva istituzioni e mondo dell’arte, e seminava dubbi, affermando con un sorriso e una scrollatina della sempre bionda, fluente chioma da moschettiere germanico, di avere messo in circolazione «qualche centinaio di opere di una cinquantina di artisti... I miei quadri sono nei maggiori musei del mondo».
Il 9 gennaio del 2015, l’oggi 67enne già aveva chiuso i suoi conti con la giustizia, se si eccettuano i risarcimenti milionari che ha poi dovuto a collezionisti turlupinati.
L’anno scorso, un’istanza di fallimento della sua un tempo florida ditta ha tuttavia riportato la situazione a zero. E oggi Beltracchi e sua moglie Helene possono agire senza imbarazzi di sorta, tra apparizioni in TV e incarichi per ritrarre esponenti di spicco del mondo tedesco.
Le opere che nascono dal suo pennello vengono ormai firmate con il suo nome e trovano estimatori. Fra questi, l’imprenditore, collezionista, editore e “promotore delle arti” bavarese, Christian Zott, che ha deciso di finanziare un progetto di fakes alla luce del sole, firmati da Beltracchi, da esporre in una mostra itinerante.
Kairos. Il momento decisivo porterà in tournée dall’autunno fra l’altro un corpus di opere di Beltracchi nate per l’occasione, e che spaziano nelle sterminate praterie della storia dell’arte europea. Zott si augura di poter «appassionare tante persone che si interessano di arte, ad approfondire le proprie conoscenze sui pittori e sulle varie epoche, con dipinti che non sono mai stati creati, ma che ci piacerebbe vedere».
Ed ecco allora Lutero alla maniera di Lukas Cranach il Vecchio, che ritrasse molte volte il riformatore religioso in diversi momenti della sua vita, ma non nell’attimo in cui, nel luglio del 1505, durante una violenta tempesta si inginocchiò per chiudere aiuto al cielo, offrendo di farsi monaco se fosse stato salvato.
Ed ecco anche un autoritratto di un maturo Gustav Klimt, che nella vita vera si raffigurò una sola volta e in giovane età, nel 1886, in un dipinto per lo scalone del Burgtheater di Vienna.
O ancora Charles Darwin, così come lo avrebbe raffigurato il suo conterraneo William Turner, quando nel 1831 salpava con il brigantino Beagle per iniziare le sue fondamentali ricerche, mentre nello stile di Max Beckmann verrà presentato il dipinto Il martirio di Rosa Luxemburg.
«Spero che la sorpresa di essere confrontati con quadri che non sono mai esistiti possa ispirare a considerare un dipinto per sé, invece che in base al suo valore di mercato», auspica Beltracchi: «Vorrei che ne scaturisse un dibattito su come l’arte possa affrancarsi dal mercato ed essere più presente nella società».
Il debutto di “Kairos” è previsto in autunno a Venezia (dal 5 ottobre al 3 novembre, Biblioteca Nazionale Marciana in piazza san Marco), con tappe successive ad Amburgo e Vienna. Dal 2019, il lotto di opere confluirà inoltre nella collezione di arte contemporanea di Christian Zott, in un apposito museo che sta sorgendo in un appezzamento di 1,7 ettari immersi nei boschi di Ammertal, in Baviera.