Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2018
Petrolio, Mosca verso l’ingresso nell’Opec
Russi e sauditi viaggiano sulla stessa auto a Vienna, scherzano come vecchi amici, parlano con una sola voce al mercato del petrolio. E ora si avviano a stringere ulteriormente i legami: Mosca, ha detto il ministro saudita Khalid Al Falih, è stata invitata a entrare nell’Opec, in prima battuta come membro associato, dunque non ancora a pieno titolo, ma si tratta comunque di un nuovo passo avanti per stabilizzare un’alleanza che già sembra inossidabile.
La Russia, con altri nove Paesi non Opec, ha ratificato come previsto l’accordo per fornire più petrolio al mercato, e ha subito ripreso – accanto all’Arabia Saudita – le redini della coalizione. I due hanno sgombrato il campo da ogni ambiguità, mettendo in chiaro che ci sarà davvero un aumento di produzione da un milione di barili al giorno, proprio come voleva Donald Trump. Con buona pace dell’Iran, del Venezuela e di tutti gli altri Paesi che hanno perso – o rischiano di perdere – quote di mercato e non ce la fanno a estrarre di più. Ovviamente tutti negano con sdegno di voler accontentare gli Stati Uniti. «Non prendiamo istruzioni via Twitter», ha detto il ministro russo Alexandr Novak, definendo l’esito finale del vertice «ragionevole» e basato sui fondamentali del mercato. Sull’apertura dei rubinetti Al Falih è stato comunque molto esplicito: l’incremento di produzione non solo «sarà più vicino a un milione di barili che a 600mila», ma «implica una redistribuzione delle quote dei singoli Paesi», con nuovi tetti che non saranno assegnati «strettamente pro rata».
Riad per esempio supererà la sua quota produttiva già da luglio, prevede il ministro, anche se l’aumento dell’output non sarà brusco, ma «graduale» e «coordinato». Il balzo dei prezzi del greggio, ha aggiunto, è dipeso in gran parte dal fatto che molti hanno «sottostimato l’azione decisiva» presa dalla coalizione Opec-non Opec.
Il testo degli accordi (quello di venerdì e quello di ieri con gli alleati non Opec) è in effetti molto vago e si è prestato a diverse interpretazioni. Il gruppo ha volutamente evitato di dare cifre, limitandosi a promettere una riduzione dei tagli in linea con gli obiettivi originari. È in questo modo che è riuscito a strappare l’appoggio di Teheran, che minacciava di far saltare tutto.
Lo stesso ministro iraniano Bijan Zanganeh a posteriori ha confermato che è andata proprio così, ma la sua interpretazione del patto è molto più restrittiva rispetto a quella che ormai si può considerare ufficiale: chi ha parlato di un milione di barili al giorno l’ha fatto solo «per dare un segnale al mercato», ha detto in un’intervista ad Argus. «In realtà non esiste nulla del genere. Qualunque Paese stia producendo meno della sua quota dovrebbe alzare la produzione, ma questo non significa che la produzione del Venezuela dovrebbe essere fornita da altri». Fonti della delegazione irachena avevano dato spiegazioni simili: «Nessuno potrà estrarre più di quanto gli spetta. I sauditi devono prima consultarsi con gli altri e ottenere il permesso». Fin dal primo momento però il presidente di turno dell’Opec, il ministro Suahil Al Mazrouei (emiratino e schierato con i sauditi), aveva detto che non ci sono più quote individuali ma solo «un impegno collettivo».
Che ci siano visioni diverse, commenta Ann-Louise Hittle, vicepresidente di Wood Mackenzie, è «irrilevante per il mercato». «L’unico Paese che può aumentare la produzione è l’Arabia Saudita, quindi la sua interpretazione dell’accordo è l’unica che conta».