il Giornale, 24 giugno 2018
Liliana Heker, la migliore allieva di Jorge Luis Borges sbarca in Italia
Liliana Heker è piccola, sembra starti nella tasca della giacca, e ha occhi come binocoli, possono spiare la più sottile perversione di Dio. Leggo quello che ha scritto di lei Alberto Manguel, l’amico di Borges. «Liliana Heker è una delle voci più importanti della generazione successiva a Borges. I suoi racconti sono la rigorosa cronaca dei timori intimi e inconfessabili che alimentano la nostra gioia e la nostra tragedia quotidiana, narrati con una logica implacabile, con una sapienza commovente: è una scrittrice indispensabile». Lei sorride. Mani come gazze.
Grazie ad Alberto Manguel, l’opera di Liliana Heker è atterrata, con un certo successo, negli Stati Uniti: nel 2015 la Yale University Press pubblica una selezione di racconti con il titolo Please Talk to Me. I suoi libri sono tradotti in Germania, Francia, Russia, Polonia, Olanda, Inghilterra. Alcuni racconti, come La muerte de Dios, Don Juan de la Casa Blanca, La crueldad de la vida, sono l’abbecedario per i nuovi scrittori argentini; il racconto più noto, La fiesta ajena, si studia insieme ai «classici». La Heker vuole la perfezione formale, a volte impiega più di un anno per perfezionare un racconto di una manciata di pagine. «La prima versione di un testo è un male necessario. Correggere non è altro che cominciare a trovare il Mosè dentro un blocco di marmo», mi dice, sciorinando i suoi «dieci comandamenti della scrittura» (ultimo comandamento: «occorre nutrirsi dei credo – per imparare a dubitarne»). Classe 1943, energia da immortale, la Heker ha cominciato giovanissima, a 17 anni, nella redazione della rivista letteraria El Grillo de Papel, «scoperta» dallo scrittore Abelardo Castillo. Quasi subito – poco più che ventenne – si impone come interprete audace in un genere propriamente argentino, il racconto, affare da numeri dieci della narrativa, da Maradona della letteratura. Sulla rivista El Ornitorrinco, che fonda insieme a Castillo e a Sylvia Iparraguirre, ostile al regime militare, quarant’anni fa, la Heker ingaggia una polemica epica contro Julio Cortázar, in un saggio dal titolo Exilio y literatura.
«Sono stata amica di Cortázar, verso la cui opera ho una stima immensa. Cortázar riteneva che la letteratura argentina fosse stata annientata dal regime militare e che noi, che abbiamo deciso di continuare a scrivere nonostante tutto, non fossimo davvero ostili al governo di Videla, rispetto agli intellettuali che avevano abbandonato il Paese. Gli ricordai che lui aveva lasciato l’Argentina nel 1951, quando c’era Perón, non certo per motivi politici...». Costantemente ostile al potere di turno, la Heker sprofonda nel gesto letterario, con coraggio marziano. Nel 1980 realizza la più bella intervista mai fatta a Jorge Luis Borges, costringendolo a parlare «sulla vita e sulla morte». Nel 2016 la casa editrice Alfaguara pubblica in un unico volume, nella stessa collana che raccoglie le opere di Marguerite Yourcenar, Vladimir Nabokov e William Faulkner, i suoi racconti come Cuentos reunidos, ed è un evento culturale. «Sa perché ho preferito riuniti al posto di completi?», fa lei. Dica. «Perché non ho il minimo interesse nel completarmi». Inafferrabile Liliana. Anche quando tenti di estorcerle qualche frase di rito sulla censura durante il regno dei militari, ti spiazza. «Lo scrittore non attende che sia un potere a concedergli la libertà di esprimersi. Lo scrittore abita la libertà nonostante e contro ogni potere. La censura non è infallibile; ciò che annienta uno scrittore è l’autocensura». Poi chiude gli occhi. Li riapre. Quando parla di un racconto è come se parlasse di un uomo.