il Giornale, 24 giugno 2018
I salari italiani? In Europa crescono meno di tutti
Il «decreto dignità» annunciato dal ministro del Lavoro-Industria Luigi Di Maio rischia di aumentare le diseguaglianze tra i lavoratori. Perché non è l’unica categoria di lavoratori ad essere sottopagata, e se si fa un decreto per sanare la situazione di un comparto, allora sarebbe logico aspettarsi un decreto per tutti i comparti dove le persone non sono tutelate, soprattutto dal punto di vista economico. E, se non lo si facesse, sarebbe discriminatorio.
La via più semplice sarebbe quella di introdurre in Italia il salario minimo orario, che esiste in tutti i Paesi europei tranne pochissime eccezioni tra le quali, appunto, l’Italia. Basterebbe fissare un limite sotto il quale la retribuzione non può andare per risolvere non solo il problema dei riders, ma anche quella di altri lavoratori più invisibili ancora dei riders. Questa misura non è mai stata introdotta in Italia per l’insuperabile opposizione dei sindacati che hanno nella leva salariale il loro punto di forza nelle trattative con i datori di lavoro la quale aumenta la percezione della loro indispensabilità tra i lavoratori. Se si partisse da un «pavimento» sotto il quale non si può andare, avrebbero meno possibilità di ottenere aumenti e, quindi, meno moneta da spendere con i propri iscritti.
Eppure in tutta Europa c’è. I grafici in queste pagine, elaborate dal sito di datajournalism Truenumbers.it, mostrano che perfino in Albania esiste il salario minimo. È molto basso: 180,52 euro al mese (i dati Eurostat li mostrano su base mensile e non oraria) ma c’è. In Lussemburgo è stellare: nessun lavoratore assunto da un’impresa del piccolo Stato può guadagnare meno di 1.998,59 euro al mese. In Francia, che ha un’economia più simile alla nostra, il salario minimo mensile è di 1.498,47 euro, in Germania (che l’ha introdotto solo nel 2015) è di 1.498 euro e in Spagna di 858,55. Insomma: si può fare, dato che l’hanno fatto tutti, magari a volte «esagerando». In Turchia, per esempio, il rapporto tra salario minimo mensile e salario mediano dei lavoratori è pari al 76%: un livello altissimo, così come è molto alto è in Francia, 61%. Più è alto il rapporto e più tendente all’egualitarismo è la politica economica del Paese.
Perfino nella liberalissima America Washington impone un salario minimo (orario, in questo caso) sotto il quale nessun lavoratore può essere pagato. È di 7,50 dollari: molti Stati hanno deciso di aumentarlo e molti altri di diminuirlo, altri ancora l’hanno legato alla grandezza dell’impresa e altri ancora al reddito del lavoratore. Ma esiste, tranne rarissime eccezioni) ovunque. Addirittura le singole municipalità possono imporre alle imprese che hanno sede nel proprio territorio, salari maggiori. Seattle, per esempio, lo ha portato a 15 dollari l’ora nel 2018 così come farà San Francisco dal 2021: in entrambi i casi si tratta di 2,5 dollari più della paga minima oraria nel District of Columbia, cioè Washington, dove attualmente un lavoratore viene pagato più che in qualsiasi altra parte d’America: 12,50 dollari l’ora. È un modo non solo per attirare imprese migliori, più innovative e, tendenzialmente, più redditizie, ma anche per attirare lavoratori più qualificati adeguando i salari alla struttura economica del territorio e stimolare la competizione. È sacrilego parlarne, ma il salario minimo orario modulato in base alle potenzialità e alle caratteristiche territoriali in Italia, avrebbe lo stesso effetto: tutelare i lavoratori, fare emergere il nero stimolando la crescita, a sua volta alimentata dai consumi privati.
In questo senso ci sono due dati che dovrebbero far riflettere: il primo riguarda la massa di denaro che ogni anno viene incassata dai lavoratori dipendenti in Italia: nel 2015 (ultimo dato disponibile) è stata pari a 649 miliardi e 790 milioni, circa 11 miliardi in più rispetto all’anno precedente ma ancora 1,6 miliardi sotto il dato del 2011. Il secondo dato è la crescita dei salari rispetto al resto d’Europa. Tra il 1999 e il 2017 la crescita media annua dei salari italiani è stata la più bassa d’Europa: 1,6%. Prima di noi c’è la Germania (1,7%) che però ha una disoccupazione vicina al 3,5% mentre noi siamo intorno all’11%. Significa che la Germania ha scambiato moderazione salariale con maggiore occupazione ottenuta anche attraverso i mini-jobs che, e qui sta il punto vero, sono tutelati dall’introduzione, nel 2015, del salario minimo. Noi abbiamo i mini-jobs (i riders ne fanno parte) ma senza tutele e senza aumento dell’occupazione. E non sarà il «decreto dignità» a risolvere il problema.