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 2018  giugno 24 Domenica calendario

Il capo della comunicazione Netflix licenziato per aver detto «negro»

Ci sono parole tabù, il cui carico ingiurioso è tale che possono costare una carriera. È quel che è successo a uno dei manager più noti e rispettati d’America, Jonathan Friedland, responsabile delle comunicazioni del gigante dello streaming Netflix. Dopo sette anni con la società, Friedland è stato licenziato per aver usato in almeno due occasioni il termine nigger, che negli Usa è gravemente offensivo nei confronti degli afro-americani. 
Friedland ha ammesso di aver sbagliato e ha accettato il licenziamento, scusandosi: «Negli esempi che forniscono, i leader devono essere al di là di ogni rimprovero, e sfortunatamente io non sono stato all’altezza di questo principio». È stata la rivista Hollywood Reporter a rivelare il motivo del licenziamento di Friedland, che prima di passare a Netflix era stato un dirigente della Disney e prima ancora aveva lavorato per venti anni come inviato del quotidiano Wall Street Journal. Pare che Friedland avesse usato il termine una prima volta nel corso di una riunione manageriale, mesi fa. Dopo l’incidente, era stato fermamente ammonito dalla dirigenza, e sollecitato a non ripetere l’insulto. Senonché avrebbe di nuovo usato il termine proprio con dei dipendenti di colore. 
L’Amministratore delegato dell’azienda, Reed Hastings, ha spiegato in una lettera circolare a tutto il personale che dopo il primo caso, l’azienda aveva pensato che si fosse trattato di «una orrenda anomalia che non si sarebbe mai ripetuta». Ma il secondo incidente ha confermato «una profonda mancanza di comprensione» e a quel punto il licenziamento si è reso necessario. 
SOCIETÀ IN CRESCITA
L’allontanamento di Friedland viene mentre la società naviga a gonfie vele, avendo raggiunto il record di 125 milioni di abbonati nel primo trimestre 2018 e aspettandosene almeno altri sei milioni nel secondo trimestre. Solo tre giorni fa il titolo in borsa ha chiuso a 404 dollari e 98 centesimi, il suo nuovo record. Friedland, che ha guidato le campagne pubblicitarie di Netflix, è stato uno degli artefici di questo successo, come l’Ad Hastings gli ha riconosciuto. Peraltro Hastings ha anche ammesso che sul ricorso al termine che ha condannato Friedland ci può essere «confusione», perché esso viene ripetuto spesso in musica e nei film. Ma il suo uso è solo ed esclusivamente prerogativa degli afro americani. Quando è pronunciato da «chiunque non sia nero», il termine è solo gravemente ingiurioso. Effettivamente questo è un particolare poco noto o poco capito fuori dagli Stati Uniti: a differenza del termine negro, che una volta era comunemente usato e non aveva carattere offensivo, come l’ha oggi, nigger ha sempre avuto un significato di disprezzo verso gli afro-americani. Derivato dallo spagnolo, niger era il modo con cui gli schiavisti chiamavano i loro schiavi neri. È anche vero che oggi fra di loro spesso gli afro-americani si appellano l’un l’altro my nigger, o usano il termine in canzoni, in un tentativo spiegano di impossessarsi del termine. Tuttavia se un bianco lo usa, l’eco del suo significato nella storia dei rapporti fra bianchi e minoranza nera lo rende inevitabilmente offensivo. Il razzismo insito nell’uso del termine è tanto ben noto presso il pubblico Usa, che negli articoli americani se si deve citare questa parola non la si scrive per intero, ma si ricorre all’escamotage di indicarla come the N word, oppure con N++++r. Comunque, il manager di Netflix non è l’unica vittima del suo stesso razzismo.