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 2018  giugno 24 Domenica calendario

Finalmente parla il ministro degli Esteri Moavero Milanesi: «Speriamo di non dover chiudere le frontiere». Intervista

Ministro Moavero, tra poche ore a Bruxelles si apre un vertice decisivo sui migranti mentre nel Mediterraneo la situazione precipita. Salvini ha chiuso i porti italiani e respinge le navi delle Ong. Condivide questa linea?
«Ciò che accade dipende dalla mancanza negli ultimi anni di un’efficace gestione, a livello di Unione europea, dell’epocale fenomeno migratorio in atto. L’Europa, e non l’Italia, è la meta di tutte queste persone che fuggono a guerre, regimi autoritari o cercano un futuro migliore. Dunque, poiché la questione è europea, le soluzioni devono essere europee. Ma l’Ue è stata decisamente latitante, prevalgono i vari egoismi nazionali. L’attuale posizione italiana intende richiamare i partner ai valori comuni della responsabilità e della solidarietà».
Respingere le navi è una sorta di provocazione?
«Provocazione è una parola sbagliata. C’è, piuttosto, la volontà di scuotere le coscienze degli Stati europei e delle istituzioni Ue: stiamo parlando di esseri umani in mano a trafficanti, di persone che vivono tragici esodi e rischiano la vita. Dal 2016, nel Mediterraneo ci sono stati oltre novemila morti. Tutti lo hanno ammesso: l’Italia è stata lasciata sola ad affrontare l’emergenza. Così non si può andare avanti».
Con quali proposte oggi il premier Conte si siederà al tavolo della trattativa?
«Oggi c’è un incontro informale, per preparare il Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. È una tappa di riflessione. L’Italia ci va chiedendo il superamento, non la semplice revisione, della logica del regolamento di Dublino. Le sue norme stabiliscono che il Paese di primo arrivo debba accogliere i migranti, assisterli, e soprattutto verificarne i requisiti per ottenere il diritto d’asilo. Nel caso non li abbiano, dovrebbe rimpatriarli o tenerli sul suo territorio. Un sistema di questo tipo è inadeguato, sottovaluta i numeri: la stragrande maggioranza dei migranti, non hanno titolo all’asilo, migrano per motivi economici e sono il 93% del totale degli arrivi in Italia. Di loro, le regole di Dublino si occupano per difetto, non offrono soluzioni e lasciano tutti gli oneri a carico del Paese di primo arrivo. Per ragioni geografiche, l’Italia si trova proprio in quest’ultima situazione. Ma c’è di più, se gli altri Stati Ue ritengono che i controlli per concedere l’asilo non sono rigorosi, possono sospendere la libera circolazione delle persone, prevista dagli assetti di Schengen, chiudendo le loro frontiere come accade a Ventimiglia. Insomma, un ben triste paradosso: la normativa europea di Dublino, nei fatti, frammenta l’Unione».
Questo per bloccare i movimenti secondari tra Stato e Stato...
«Appunto. Ma non si può affrontare la questione dei movimenti secondari, se anzitutto non si affrontano i movimenti primari, vale a dire gli arrivi. Questi possono essere ridotti agendo sui flussi migratori, non alla foce, ma soprattutto alla sorgente e lungo il loro percorso. L’Unione europea deve fare molto di più per portare pace, libertà e migliorare le condizioni economiche e sociali nei Paesi di origine dei migranti. Servono tanti fondi e occorre investirli bene. Poi, bisogna creare campi di accoglienza, assistenza e informazione, gestiti dall’Unione e dagli Stati di origine e di transito: molte persone, dopo una prima tratta e dopo aver capito quanto sia terribile e rischioso il viaggio, desiderano rientrare a casa e vanno aiutate. Infine, chiediamo di strutturare e potenziare una vera vigilanza europea alle frontiere dell’Unione. Tuttavia, le persone salvate in mare non devono essere sbarcate sempre negli stessi porti, ma smistate nei vari Paesi rivieraschi, naturalmente garantendo l’assistenza a chi ne ha più bisogno nel porto più vicino. Così, verrebbero divisi gli oneri di accoglienza e verifica. È evidente, che ripartendo le persone in luoghi diversi si evita il sovraffollamento e i relativi disagi e le stesse verifiche sarebbero più spedite, essendo meno le persone da controllare in ciascun luogo di approdo».
È vero che Conte, se la trattativa dovesse mettersi male, è pronto a mettere il veto e a minacciare la riduzione del contributo italiano al bilancio europeo?
«Il Consiglio europeo opera su base di consenso ed è normale che, se su certi punti non c’è consenso, non si adotti alcuna conclusione. Dunque, non è un veto in senso stretto. Riguardo al bilancio 2021-2027 la discussione è solo all’inizio, si deciderà tra almeno un anno. Ma anche qui è necessaria l’unanimità e se non fossimo soddisfatti non daremmo il nostro sì».
L’Italia non rischia l’isolamento?
«L’Europa oggi è molto divisa. Tra gli Stati, all’interno degli Stati e perfino dentro ciascuno di noi. Davanti ad avvenimenti così tragici, ogni persona prova due sentimenti: la solidarietà e il timore. Insomma, la questione migratoria è lacerante. Parlare di isolamento è parlare di un frammento tra i vari frammenti in cui ora è divisa l’Europa. Ormai l’Unione è un arcipelago di tante isole. Arretra la capacità di costruire equi compromessi, condividere, cooperare davvero. Chi vede la questione migratoria come una questione ad altissimo rischio per la tenuta dell’Unione europea drammatizza, ma potrebbe essere profeta».
Sta dicendo che l’Europa potrebbe sgretolarsi?
«Il rischio c’è. La divisione tra gruppi di Paesi, la difficoltà a trovare intese e a lavorare insieme, stanno producendo effetti forse più dirompenti della crisi finanziaria del 2012».
L’Europa potrebbe finire? Implodere?
«Forse finire no, ma indubbiamente potrebbe subire una battuta d’arresto rilevante. Non occorre abolire i Trattati, basterebbe renderli, di fatto, inoperanti».
Crede che ci sia un disegno? Sospetta che l’ungherese Orban leader dei Paesi di Visegrad, ma anche Salvini, puntino in nome del nazionalismo a colpire al cuore l’Unione?
«Non penso che ci sia un vero e proprio piano deliberato per frantumare formalmente il processo di integrazione europea. Tuttavia c’è un profondo malessere tra i cittadini nei confronti di un’Europa che tradisce le attese e non riesce a risolvere i problema più gravi. E così, la situazione può sfuggire completamente di mano. Potremmo scivolare, più o meno consciamente, nel passato di nazioni contrapposte e rivali. Per questo facciamo delle proposte: per dare soluzioni adatte ai tempi correnti ed evitare che la prima vittima dell’inerzia europea e delle liti fra Stati sia proprio l’Europa».
Schengen già boccheggia...
«Si direbbe. Anche se, per ora, nel margine consentito dalle sue stesse regole. Ma se tutti chiudessero i confini, le libertà di Schengen non ci sarebbero più. E ciò produrrebbe grandi danni: a chi viaggia per lavoro, studio, turismo e in sequenza potrebbe minarsi il mercato unico e perderemmo il maggiore volano di crescita e occupazione d’Europa».
Dunque ha ragione la Merkel a mostrarsi pessimista sull’esito del vertice di oggi e del Consiglio europeo di giovedì. La Cancelliera ha escluso la possibilità di trovare soluzioni condivise.
«Un’intesa su alcuni capisaldi innovativi non è impossibile, benché sia difficile. È ovvio che nessuna modifica legislativa può essere adottata fra cinque giorni, ma può essere fissata la linea d’indirizzo lungo la quale procedere. Dobbiamo veramente metterci una mano sulla coscienza: già nel giugno del 2014 il punto forte del Consiglio europeo erano le migrazioni. Nelle sue conclusioni si trovano belle frasi e scarsa sostanza di cambiamento. Cerchiamo di evitare un bis».
La Merkel punta ormai ad accordi bilaterali per rispedire in Italia e negli altri Paesi di primo approdo i migranti arrivati in Germania. Quale sarà la vostra risposta?
«È un no, peraltro già detto respingendo la bozza che circolava nei giorni scorsi. Ripeto: ci si può occupare dei movimenti secondari solo dopo una reale, concreta svolta sui movimenti primari».
L’Italia chiuderebbe le frontiere?
«Abbiamo intorno a noi, già adesso, molte frontiere chiuse. Il rischio che i confini si chiudano uno dopo l’altro esiste. Mi auguro che non dovremo mai trovarci davanti a una simile decisione».
Il presidente francese Macron ha proposto centri chiusi europei per accogliere i rifugiati nei Paesi d’approdo. Cosa ne pensa?
«Se simili centri (mai li chiamerei campi!) fossero ripartiti in modo equo fra più Stati europei affacciati sul Mediterraneo, nei quali suddividere gli approdi delle navi con i migranti, se ne potrebbe discutere. Al contrario, è impensabile che parti importanti del nostro Paese siano costellate da centri di raccolta e controllo, indipendentemente da chi li finanzi e gestisca. L’Italia non può continuare a pagare da sola per l’Europa, a cagione della sua collocazione geografica: il problema è europeo e gli oneri vanno distribuiti opportunamente sull’intera Unione europea».
Lei è un europeista convinto dai toni felpati, come va la convivenza con Salvini che fa assi con Orban e litiga furiosamente con Macron?
«Non ho riscontrato difficoltà a ragionare e prendere decisioni insieme con i colleghi della squadra di governo. C’è una dialettica aperta e costruttiva. Dopo di che, se si vuole badare solo ai toni, più o meno alti, direi che chi fa politica attiva in democrazia ha piena facoltà di scegliere quali usare. La varietà non manca, da noi e in giro per l’Europa».