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 2018  giugno 24 Domenica calendario

Compie 200 anni «ciao», la parola italiana più celebre al mondo dopo «pizza»

«Ciao ciao bambina». Nel 1959 Domenico Modugno vinse a Sanremo con Johnny Dorelli cantando Piove. In realtà quella canzone resterà nella memoria per il ritornello: «Ciao ciao bambina», che presto si diffonderà all’estero nella trascrizione inglese «Chiow Chiow Bambeena», in quella tedesca «Tschau Tschau Bambina», in quella spagnola «Chao chao bambina». Dalida la cantò nella versione francese. Il linguista Nicola De Blasi sostiene che la canzone di Modugno e di Dino Verde rappresentò la svolta decisiva nella fortuna internazionale della parola «ciao», la forma di saluto più familiare che si conosca non solo in Italia. In realtà, segnala De Blasi, il termine era già noto oltre i confini nazionali: in un romanzo francese di Paul Bourget del 1893, un personaggio diceva in italiano «Ciaò, simpaticone» e nei primi del Novecento veniva suonato un valzer intitolato «Ciao». Il saluto filtrò ben presto nei film neorealisti e nelle commedie all’italiana nel momento in cui il nostro cinema aveva un successo mondiale. 
Nel film di Monicelli I soliti ignoti, del 1958, Gassman saluta l’amico Capannelle ricoverato in ospedale con le parole «Addio, ciao, bello». Insomma, il nostro «ciao» si diffonde nel mondo sulle ali del boom economico come «icona quasi fonosimbolica» e del diffondersi del «tu» nei rapporti personali. Tant’è che nel 1967, l’anno tragico per Sanremo in cui Tenco presenta Ciao amore ciao, la Piaggio decide di battezzare «Ciao» un suo motorino che con lo slogan pubblicitario «Bella chi ciao» punta sul pubblico giovanile. E ai lettori giovani, l’anno dopo, si rivolge anche il settimanale illustrato «Ciao 2001», mentre a grandi e bambini viene proposta la crema al cioccolato «Ciaocrem». 
Il ’68 è l’anno in cui sempre a Sanremo Luis Armstrong duetta con Lara Saint Paul cantando Ciao, stasera son qui. L’irresistibile ascesa di «ciao» giunge all’apoteosi nel 1990 con la mascotte eponima dei Mondiali di calcio. E attualmente, dopo «pizza», «ciao» è la parola italiana più pronunciata nel mondo fino a «ciao raga», «ciao neh», «ciaone». 
«Questa mattina mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao»: va detto che il canto intonato dai partigiani, che si sarebbe imposto molto dopo come inno politico di resistenza e di liberazione, fu lanciato grazie anche a iniziative commerciali prestigiose come il disco di canti popolari italiani interpretati da Yves Montand. Il più celebre etnomusicologo, Roberto Leydi, dimostrò che Bella ciao è radicata nella tradizione popolare perché risale a un canto piemontese dell’Ottocento dove però manca la parola «ciao», che invece compare in un canto delle mondine anni Quaranta.
E pensare che l’origine della parola non ha nulla a che fare con la confidenza, se è vero, come è vero, che «ciao» deriva dal latino «sclavum», variante di «slavum» quando a essere ridotte in schiavitù erano le genti di provenienza slava. A partire dal Quattrocento si introduce l’abitudine di salutare qualcuno dichiarandosi suo schiavo (il friulano «mandi» proviene da «comandi»): da qui la parola «ciao» che origina dal veneziano «s’ciavo», schiavo, appunto. Ma c’è un compleanno che quest’anno va festeggiato: è esattamente di due secoli fa la prima attestazione scritta di «ciao» (che naturalmente doveva esistere in forma orale già da un po’), la stessa parolina che immettiamo decine di volte al giorno chattando su Facebook o su WhatsApp. Il 1818 è l’anno in cui il tragediografo cortonese Francesco Benedetti in una lettera accenna alle gentilezze ricevute da una signora che lo conduce alla Scala e dai milanesi in genere: «Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin». D’altra parte un anno dopo la scrittrice inglese Lady Sidney Morgan allude al comportamento di alcuni spettatori che in un palco della Scala si scambiano un «cordial ciavo». Altra conferma del bicentenario arriva da una lettera della contessa veronese Giovanna Maffei, che nel 1818 riferisce al marito i saluti del figlio ancora bambino: «Peppi à appreso a dire il tuo nome, e mi disse di dir ciao a Moti». Oggi la funzione fonosimbolica si è moltiplicata, se al telefono, nella fretta del congedo, non facciamo che ripetere: cià cià cià cià cià cià…