Corriere della Sera, 24 giugno 2018
Intervista al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro
L’ultima accusa che gli è stata rivolta è quella di affamare i gabbiani, che fino a ieri sventravano i sacchetti delle immondizie depositati fuori dalle porte, lungo calli, rii e campielli. «Siccome ho ordinato che i netturbini facciano la raccolta dei rifiuti porta a porta, suonando i campanelli delle case per evitare questo sconcio, pare che sia colpa mia se un uccello ha ghermito mezzo panino addentato da una turista in piazza San Marco», s’indigna Luigi Brugnaro, che il 2 luglio festeggerà i suoi tre anni da sindaco di Venezia.
Gli hanno anche rinfacciato d’essere andato in visita ufficiale in Giappone solo per vendere le fiorentine di chianina provenienti dal suo allevamento di Chiusi. «Monade, el me scusa. Con i giapponesi ho un rapporto di antica data, prova ne sia che, a cinque anni dalla chiusura, sono riuscito a riportare a Marghera la Pilkington, ridando un lavoro ai 120 cassintegrati e facendo assumere 50 giovani. Sono volato a Tokyo per chiudere l’accordo con Toyota sul car sharing ibrido fra Mestre e Venezia. E presto vorrei i vaporetti elettrici».
Che il doge del terzo millennio avesse un rapporto conflittuale con i giornalisti, era noto. Ma quando il servizio «Venicetown» di Report nei giorni scorsi ha tirato in ballo la mafia, la sua reazione è stata furibonda: «Tv spazzatura». In ballo c’è l’area dei Pili a Porto Marghera, che l’industriale Brugnaro rilevò nel 2005 e che, secondo Rai 3, è destinata a valere 30 volte di più.
La circostanza non è vera?
«Partecipai a un’asta bandita dallo Stato. Per quei 42 ettari, che nessuno voleva, pagai 5 milioni di euro più Iva. Poco? Alla gara c’ero solo io. I terreni sono inquinati, vanno bonificati, la Montedison ha firmato una transazione per 520 miliardi di lire. I Pili sono da sempre edificabili, anche per le giunte di sinistra. Mi piacerebbe se vi sorgesse un’arena dello sport, senza oneri per Venezia. Ma la decisione spetta al consiglio comunale».
Non c’è conflitto d’interessi?
«La mia famiglia non controlla più nulla. Sono l’unico politico d’Italia ad aver ceduto tutto a un blind trust, come pretendeva il mio sfidante Felice Casson. Ho scelto un trustee fra i più severi nello Stato di New York, l’avvocato Ivan Sacks. Ricevo solo una somma annua e la dichiaro nel modello 740. Che altro vogliono da me?».
Non so, me lo dica lei.
«Il mio stipendio da sindaco lo devolvo interamente al fondo comunale per i bisognosi, grazie al quale è stata rimpatriata in Gambia la salma di Pateh S., 22 anni, morto suicida nel Canal Grande. Arrivo alle 7 con la mia auto nel parking San Marco: l’abbonamento lo pago io, come sempre, forse ora mi salutano perché sono il sindaco. In municipio ci vengo con il mio motoscafo, il marinaio è stipendiato da me. Non mi faccio rimborsare pranzi e cene. L’unica cosa che il Comune mi regala è il caffè. Perché non riescono a concepire che un imprenditore di successo voglia lavorare gratis per la sua città?».
Ma lei da chi è stato candidato?
«Mi sono scelto da solo. Un colpo di testa. Infatti ho chiesto scusa ai parenti. La mia idea era di formare una lista civica con dentro tutti, ma il Pd rifiutò. Al passaggio delle consegne, il commissario straordinario Vittorio Zappalorto mi batté una mano sulla spalla e sussurrò con mestizia: “Auguri”».
La situazione era così tragica?
«Di più. Non c’era un bilancio consolidato. I debiti ammontavano a 800 milioni: oggi sono calati a 740. Dei 140 milioni di fido in banca, ne erano già stati erogati 139, quindi non avevo i soldi per pagare i 6 milioni 155.000 euro netti degli stipendi di luglio ai 3.200 dipendenti comunali e ai 7.000 delle partecipate. Adesso i primi sono scesi a 2.800, nonostante abbia assunto 150 vigili, e la spesa annua per il personale è passata dai 139 milioni di euro del 2014 ai 118 milioni dell’anno scorso».
Quindi non venderà la «Giuditta II» di Gustav Klimt, conservata a Ca’ Pesaro.
«Non si sa mai. L’abbiamo messa in mostra a Mestre: la gente, per paura di non vedere più l’opera che a Venezia è esposta gratis, ha pagato il biglietto. Nel frattempo ho dovuto ordinare un censimento di tutte le tele appese nei musei, a Ca’ Farsetti e nelle altre sedi municipali».
Ne era sparita qualcuna?
«Le dico solo che ora so quante sono».
Ha copiato da Carlo Cottarelli?
«Ho fatto a meno del direttore generale, che costava un patrimonio. Le 26 direzioni sono state dimezzate e dei 71 dirigenti ne sono rimasti 56. Ma non incolpo nessuno. Ha ragione il mio predecessore Massimo Cacciari: da quando non è più stata finanziata la legge speciale per Venezia, siamo in bolletta».
La definizione di «Guazzaloca in saor» che le hanno dato i giornali le sta bene?
«No. La trovo offensiva per il compianto Guazzaloca. È una vecchia tecnica: ridicolizzare l’avversario, isolarlo, per poi colpirlo. Mi scanserò e mi difenderò».
Qual è la prima emergenza di Venezia?
«Che ne parlano, spesso a sproposito, soltanto i soliti noti».
Credevo lo spopolamento.
«Gli abitanti sono 61.000, come nel 2017. Il saldo migratorio è positivo, più arrivi che partenze. Quello naturale a fine aprile era negativo di 232 unità, solo perché nessuno fa figli e i vecchi muoiono. Ma per quelli il sindaco può solo pregare».
Cinquant’anni fa, avviando sul «Corriere della Sera» la sua battaglia per salvare Venezia, Indro Montanelli spiegava che su questa città «incombe una tragedia di morte, non più lenta ma galoppante». Aveva torto o ragione?
«Montanelli era un idolo, ma la stessa cosa si leggeva sui libri nel primo dopoguerra. E no’ xé morto gnente, me par».
Lei preferirebbe Venezia senza turisti o con i turisti?
«Non vogliamo diventare come Barcellona, dove sputano addosso ai foresti e appendono ai balconi le lenzuola con scritte ostili. Finché io sarò sindaco, Venezia resterà una città aperta ai visitatori che la rispettano. Però mi preoccupa il turismo di consumo di un solo giorno, mordi e fuggi. Quello dovrà diventare più costoso».
L’esperimento dei tornelli funziona?
«Non li chiami così. Sono varchi. E non sono mai stati chiusi. Servono solo a regolare il flusso dei pedoni, instradandoli su percorsi alternativi. Ha idea di che cosa significhino tre treni che arrivano contemporaneamente in stazione e scaricano 2.000 persone sulla Lista di Spagna?».
È contento che i poliziotti cinesi pattuglino la città insieme ai carabinieri?
«Contentissimo. Magari ci prestassero agenti da tutto il mondo!».
Sa dirmi quanti bar sono finiti in mano a gestori cinesi negli ultimi anni?
«No, e m’interessa poco. Intanto ho bloccato il rilascio delle licenze ai take-away».
Le grandi navi da crociera devono entrare o no nel Bacino di San Marco?
«Mai. E neppure nel Canale della Giudecca. La soluzione alternativa l’ho già indicata: la rotta da Malamocco a Marghera seguita dalle petroliere negli anni Cinquanta. Ma la scelta spetta al ministro dei Trasporti, non a me. A chi invece contesta questi traffici, chiedo: dove vorreste scaricare i passeggeri, in mezzo al mare? Lo sa quanti prodotti made in Italy caricati nel nostro porto consumano 3.000 persone? A mi le navi me piase!».
Infatti bloccò la mostra di Gianni Berengo Gardin sui «mostri» in laguna.
«Momento! La bloccai perché era una crociata politica e usava in modo strumentale uno spazio pubblico. Ma per me resta un grande fotografo».
Non sono un azzardo i due concerti che Zucchero terrà il 3 e 4 luglio in piazza San Marco? Il disastro provocato dai Pink Floyd nel 1989 non li sconsigliava?
«Scherza? Guardi che le regole della sicurezza furono scritte a Venezia nel 1577 per la festa del Redentore dopo la peste. Abbiamo inventato persino i cacciabottiglie per evitare che i vuoti diventino cocci. E il piano antiterrorismo, con i cecchini – veri – sui tetti, risale a prima della strage del Bataclan».
Le imputano di aver favorito Zucchero solo perché era ospite alla festa di Capodanno della sua azienda, Umana.
«Con i miei soldi invito a cena chi voglio. In quell’occasione gli chiesi di tenere un concerto a Venezia. Mi richiamò dopo due mesi: “L’offerta è ancora valida?”. È lui che fa un favore a noi, altroché».
Vieterebbe ancora i libri di fiabe sulle coppie omogenitoriali?
«Li ho ritirati dalle scuole d’infanzia, non dalle biblioteche come hanno scritto. Erano stati violati i regolamenti comunali, che imponevano d’interpellare i genitori».
Ma a Elton John, che per quell’atto la definì «bifolco e bigotto», concederebbe piazza San Marco?
«Anche domattina. Soprattutto vorrei parlarci insieme. Sono sicuro che impareremmo qualcosa l’uno dall’altro».
Questo benedetto Mose è pronto o no?
«Al 95 per cento. Dovrebbe entrare in funzione nel 2019. Ma non dipende da me e salverà Venezia solo da acque alte eccezionali, superiori ai 110 centimetri. Non cancellerà il fenomeno».
Le sarebbe piaciuto essere doge anziché sindaco, confessi.
«No, benché Sebastiano Venier, che a Lepanto ci salvò dai turchi, fosse più democratico di un re. Venezia resta come allora: libera».