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 2018  giugno 24 Domenica calendario

Ayatollah «cattivi», Kim «buono». Le bizzarrie diplomatiche di Trump

Siamo ormai abituati alle bizzarrie e ai salti di umore del presidente americano. Ma in due recenti vicende nucleari (la questione iraniana e quella nordcoreana) Donald Trump ha superato se stesso e ha sbigottito anche gli osservatori più vecchi e incalliti della politica internazionale. Ha trattato l’Iran come uno Stato malefico, infido, capace delle peggiori nefandezze. E ha promosso Kim Jong-un al rango degli uomini di Stato più intelligenti e responsabili. A questo giudizio sul leader nordcoreano Trump è arrivato improvvisamente, dopo avere parlato di Kim, nelle scorse settimane, con espressioni insolenti e sarcastiche. Se avesse spiegato i motivi per cui il presidente della Corea del Nord merita ora la sua fiducia avremmo forse capito le ragioni di questo mutamento. Ma sulla sorte del nucleare nordcoreano non ci è stata data alcuna informazione. 
Il risultato di queste acrobazie diplomatiche è un pericoloso paradosso. Per Trump il nemico è uno Stato – l’Iran – che ha preso impegni concreti, li ha rispettati e ha accettato le ispezioni dell’Agenzia internazionale per la energia atomica. La Corea del Nord invece ha incassato la propria riabilitazione senza avere preso, per quanto sappiamo, alcun impegno. Gli osservatori e gli analisti non possono limitarsi a manifestare la loro sorpresa e devono sempre cercare qualche spiegazione razionale. Nel caso dell’Iran le spiegazioni potrebbero essere almeno tre. In un’area dove esiste il rischio di un conflitto fra l’Arabia Saudita e l’Iran, Trump ha deciso di stare con i sauditi: una scelta che piace alla industria bellica degli Stati Uniti (grande fornitrice di armi al Regno dei Saud) e ad altri Paesi fra cui Israele. Nella vicenda coreana potrebbe essere mosso dal tentativo di incrinare il rapporto della Corea del Nord con Pechino e di allargare l’area dell’influenza americana sino ai confini con la Cina. E non è escluso, infine, che Trump stia ancora rimuginando il caso umiliante dei 52 funzionari americani che furono ostaggi degli ayatollah fra il novembre del 1979 e il gennaio del 1981. 
Resta un dubbio, tuttavia: se sia possibile attribuire a Trump comportamenti razionali. Il presidente americano combina in sé una doppia natura. È un ambizioso imprenditore che misura la propria esistenza con il numero degli affari riusciti. Ma è anche un uomo di spettacolo che vive di effetti teatrali e si chiede continuamente se sia più efficace proclamarsi vincitore di una battaglia, anche quando non è vero, o mandare all’aria una operazione in cui avrebbe dovuto condividere il successo con altre persone. Nel caso della Corea ha deciso di proclamare una vittoria forse inesistente. In quello dell’ultimo G7, ha punito il premier canadese, colpevole di avere disapprovato la sua politica doganale, rifiutando di firmare il comunicato congiunto. In entrambi i casi ha dimostrato che del presidente americano, purtroppo, non è prudente fidarsi.