La Lettura, 24 giugno 2018
E l’uomo rimpicciolì i grandi mammiferi
Immaginiamo di poter tornare indietro nel tempo, diciamo di 10-15 mila anni, cos’è la cosa che probabilmente ci colpirebbe di più? Forse l’essere circondati da una varietà di mammiferi enormi che oggi non vediamo più in nessuna parte del mondo. Allora c’erano mammut giganteschi, tre volte più grandi degli elefanti di oggi, bradipi lunghi quasi quattro metri, strane bestie simili ad armadilli che raggiungevano le dimensioni di un bus, e poi lama, cammelli, lupi che arrivavano a 70 chili, leoni delle caverne, grandi gatti dai denti a sciabola. Ed era così dappertutto. Oggi di animali così non ce ne sono, estinti, tutti; e quei pochi che restano hanno dimensioni molto ridotte rispetto a quelli.
Prendiamo l’Europa, qui il peso dei mammiferi è diminuito in media del cinquanta per cento ma se guardiamo alle Americhe arriviamo a una riduzione di dieci volte. Lo stesso in Asia e in Australia anche di più, certe pecore che oggi arrivano a cento chili potevano pesare dieci quintali. Vi chiederete come sia potuto succedere e perché; la risposta la trovate in un bellissimo studio appena pubblicato su «Science» da ricercatori del Nuovo Messico, di San Diego e di Stanford in California. Chi ha portato alla riduzione delle dimensioni corporee dei grandi mammiferi siamo stati noi, sì avete capito bene, noi uomini, ma non solo noi, sono stati anche tutti gli ominidi che ci hanno preceduto; è stato invariabilmente così in tutti i territori occupati dalla nostra specie. Ed è successo tutto (si fa per dire) abbastanza in fretta, negli ultimi 100 mila anni, che è davvero poco se pensate che mai nella storia dell’evoluzione dei mammiferi – e sono 65 milioni di anni – si era visto, per quanto ci dicono i reperti archeologici, un fenomeno di questo genere.
A un certo punto però tra gli 80 e i 60 mila anni fa le dimensioni dei mammiferi cominciano a ridursi, proprio via via che compaiono Neanderthal, Denisova e gli altri antenati dell’uomo moderno, in Africa e in Eurasia. Cosa sta succedendo? È abbastanza semplice, gli uomini cacciano e ce l’hanno soprattutto con gli animali più grandi. Ma non ci avevano sempre detto che era solo l’Homo sapiens a saper cacciare? No, il bello del lavoro di «Science» è proprio qua. Quei ricercatori hanno scoperto attraverso lo studio di un’enorme quantità di reperti fossili che i nostri antenati cacciavano molto prima che arrivasse l’Homo sapiens; proprio così, Homo erectus, Homo heidelbergensis, Neanderthal, Denisova, tutti cacciavano. Certo con strumenti diversi a seconda delle epoche (le tecniche – si fa per dire – del Pleistocene non erano quelli del Paleolitico o dell’Olocene) sta di fatto però che dove arrivavano gli ominidi i grandi mammiferi si riducevano progressivamente di dimensione e finivano presto o tardi per scomparire.
E come la mettiamo con chi sostiene ancora oggi che siano stati invece i cambiamenti del clima e specialmente le glaciazioni a favorire la scomparsa dei mammiferi di grandi dimensioni? Il lavoro di «Science» prova a far luce anche su questo problema; nessuno può escludere con certezza che modifiche della temperatura della terra abbiano contribuito, ma in realtà i cambiamenti del clima hanno condizionato i comportamenti dell’uomo più che quelli dei giganti della terra. Questi ultimi se mai ne sono stati vittime. Vediamo perché.
È abbastanza certo che siano stati eventi ambientali e in particolare il clima a favorire le migrazioni degli ominidi dall’Africa (che poi sono cresciuti molto rapidamente nei luoghi che colonizzavano; l’Homo sapiens ha raggiunto l’Europa e l’Asia 100 mila anni fa, l’Australia 60-50 mila anni fa e le Americhe fra 15 e 13 mila anni fa). Manco a dirlo proprio dal lavoro di «Science» scopriamo che le dimensioni dei mammiferi cominciano a ridursi prima nell’Eurasia, molto dopo in Australia e solo negli ultimi 15 mila anni nelle Americhe.
Chi non fosse ancora convinto che sia tutta colpa nostra – intesi come ominidi – e della nostra propensione a cacciare trova nel lavoro di «Science» un altro argomento, un po’ indiretto a dire il vero ma suggestivo. Quegli studiosi sono riusciti a documentare che il fenomeno dell’estinzione di questi giganti del pianeta è stato progressivo e molto lento in Eurasia, ma molto più rapido e drammatico nelle Americhe. Questo farebbe pensare che a mano a mano che gli uomini imparavano a costruire armi più sofisticate diventassero anche più veloci – ed efficaci – nell’eliminare i grandi mammiferi. Con un paradosso, che è solo apparente però: 125 mila anni fa le dimensioni dei grandi mammiferi in Africa erano inferiori, almeno del 50 per cento, rispetto a quelle che si riscontravano nello stesso periodo nelle altre aree geografiche. E sì che proprio in Africa ancora oggi si concentrano gli animali (pochi) di grandi dimensioni rimasti sulla terra. Strano no? Felisa Smith e i suoi colleghi – gli autori del lavoro di «Science» – lo spiegano così: l’Africa è molto probabilmente il continente dove è cominciata la storia dell’uomo e là c’erano ominidi che erano già in grado di cacciare un milione di anni fa! Per convincere anche gli scettici, quelli che vorrebbero attribuire l’estinzione dei giganti della terra ai cambiamenti del clima, i ricercatori di «Science» si sono presi la briga di analizzare i reperti fossili nel periodo che va da 65 milioni di anni fa a 125 mila anni fa, appunto. I risultati lasciano pochi dubbi, nessun evento di estinzione correlava con i grandi cambiamenti climatici di cui siamo a conoscenza, non solo ma non si sono osservate modifiche nelle dimensioni dei grandi mammiferi prima che in una determinata regione arrivassero ominidi. Un po’ come dire che siamo stati proprio noi e i nostri antenati a far sparire i grandi mammiferi, e che l’impatto degli ominidi sull’estinzione di quei giganti è stato superiore a quello (eventuale) delle glaciazioni. Tenuto conto anche del fatto che in passato i mammiferi si difendevano dai cambi del clima spostandosi da una regione all’altra, cosa che oggi in un mondo ormai quasi completamente urbanizzato non sarebbe più possibile.
Felisa Smith e i suoi colleghi, non contenti, hanno trovato il modo di escludere il ruolo dei cambiamenti climatici nell’estinzione dei giganti della terra confrontando quello che è successo a questi ultimi con quello che nelle varie epoche succedeva ai piccoli animali. Prendendo in esame tutti i dati disponibili e dopo aver costruito un grande database funzionale ai loro studi hanno potuto concludere che la riduzione delle dimensioni dei grandi mammiferi seguiva logiche completamente diverse da quelle che si applicavano ai piccoli animali.
Il lavoro di «Science» si spinge, in un certo senso, anche a prevedere quello che succederà fra 200 anni. Il fenomeno continuerà, le dimensioni dei grandi mammiferi si ridurranno sempre di più fino a che di mammiferi grandi non avremo che le mucche. E sapete perché? È abbastanza semplice, se ci pensate bene siamo noi uomini a volerlo e a volere che siano così grandi.
Lo studio di «Science» è importante anche perché documenta meglio di quanto non fosse mai stato fatto finora quanto Homo sapiens e ominidi prima di lui abbiano influito sull’ecosistema terrestre che con l’estinguersi dei grandi mammiferi è cambiato completamente. Fino a 125 -70 mila anni fa c’era una grande eterogeneità: animali enormi e diversissimi fra loro; da 10 mila anni fa in poi invece – con la tendenza dell’uomo a occupare praticamente tutta la superficie della terra – c’è un’omogeneità preoccupante che potrebbe compromettere l’omeostasi del sistema-globo terrestre; i grandi «estinti» dovranno essere sostituiti e a farlo saranno i piccoli animali, soprattutto roditori e animali domestici (già oggi la biomassa di 4 miliardi e mezzo di animali domestici sulla terra è superiore a quella degli animali selvatici della fine del Pleistocene).
Non abbiamo idea delle conseguenze a lungo termine di questo fenomeno perché i giganti di centinaia di migliaia di anni fa con la loro presenza, con quello che mangiavano e bevevano e con il loro impatto sull’equilibrio delle altre specie condizionavano tutto. Gli escrementi dei grandi mammiferi si concentravano là dove questi vivevano e influenzavano lo scambio di gas fra la terra e l’atmosfera – azoto, fosforo e metano soprattutto – in rapporto alle loro funzioni digestive; ancora oggi la mega fauna influenza la vegetazione, i cicli «biogeochimici» come li chiamano gli esperti e il clima. Tanto che certi scienziati sono convinti che i grandi mammiferi fossero (e debbano continuare a essere) gli «ingegneri dell’ecosistema».
E allora cosa succederà quando non avremo più elefanti, rinoceronti e giraffe? «Servono altri studi», ha detto la dottoressa Smith al «Los Angeles Times» in risposta a questa domanda; è una frase di rito, finiscono quasi tutti così i lavori scientifici. Ma chissà che questa volta non serva invece che facciamo di tutto per tenerci quei pochi giganti che ci sono rimasti.