Per un attimo ho perso la testa, ma sono felice di averlo fatto».
C’era anche nonna Titta a Madrid.
«Lei viene sempre, è una nonna appassionata e arzilla, la mia prima tifosa, si muove in continuazione, e gioca pure a golf! Sono andato ad abbracciare lei, mio fratello, mio padre, il mio preparatore, e poi Fabrizio Donato».
Se dovesse indicare un solo elemento dietro questo record, quale sarebbe?
«Il fatto che mi sento la personificazione di una verità che viene spesso ignorata e cioè che l’atletica è uno sport di gruppo, e in particolare penso a mio padre, che ha deciso di seguire una strada tutta sua».
Si potrebbe dire una strada
“tortu-osa”...
«Parecchio tortuosa, perché è andato contro i pilastri filosofici dello sport italiano, dimostrando che non esiste un solo modo per ottenere dei grandi risultati nell’atletica e in particolare nella velocità. Credo che sia un segnale importante. Fino a ieri credevamo l’opposto. E non dico che il metodo di mio padre sia l’unico, perché commetterei lo stesso errore dei nostri predecessori».
Questa storia che sa
affrontare la pressione come un veterano è sempre valida?
«Venerdì in batteria sarei voluto andare più forte e subito dopo mi sono un po’ agitato, non buona cosa prima di una finale. Poi però ho capito che non avevo corso bene e mi sono tranquillizzato. In finale ero proprio fomentato...».
Gli avversari fino a un po’ di tempo fa guardavano Tortu, magari incuriositi. Adesso si guardano da Tortu. Come cambiano le cose in un anno..
«Pensi che nella call room del Golden Gala, lo scorso anno, mi sono accorto che mentre mi preparavo qualcuno si è messo a ridere. Non dico chi, ma comunque quella scena mi aveva caricato. Adesso quegli stessi ragazzi non hanno più molto da sghignazzare. Non me la sono mai presa. Quando corro con i più forti è sempre un’opportunità».
Record strappato a una leggenda, primo sotto i 10” in Italia, è un 20enne già adulto?
«Non cambia nulla dentro di me e anzi se dovessi rendermi conto di qualche piccola deviazione provvederei all’istante. Il carattere e i risultati hanno bisogno di questo: che io resti ciò che sono».
E cos’è?
«Un ragazzo normale che ogni tanto corre forte. Mi sento ancora nell’età dell’innocenza. Quello che è successo dipende da come viviamo l’atletica, dal clima di tutti i giorni, dal fatto che ci divertiamo a vivere la nostra vita insieme al campo, non è mai una sofferenza, né un sacrificio».
Qual è il momento più importante del suo ultimo anno?
«Il più bel periodo dei miei allenamenti è stato quello in cui ho dovuto recuperare l’infortunio alla caviglia rimediata la sera in giro per Roma dopo il Golden Gala dello scorso anno. La convalescenza ha in sé qualcosa di portentoso, è come se uno guarisse crescendo».