La Stampa, 23 giugno 2018
Tria smentisce Di Maio: «Mancano le coperture, il reddito di cittadinanza nel 2018 non si può fare»
Meno di ventiquattrore dopo, nello stesso palazzo, un ministro smentisce nettamente un suo collega su una proposta-cardine del governo. Il reddito di cittadinanza? Nel 2018 non si può fare. Parola di Giovanni Tria. Il ministro del Tesoro lo ha spiegato al termine della due giorni di Eurogruppo-Ecofin, un doppio appuntamento durante il quale ha assicurato ai sui colleghi che l’Italia rispetterà tutti i vincoli economici imposti dalla Ue. E dunque non può permettersi misure di spesa come questa.
Le parole di Tria smentiscono e ridimensionano drasticamente l’annuncio fatto da Luigi Di Maio il giorno precedente. «Non mi è stata mai espressa questa idea» dice il titolare di via XX settembre. Eppure il vicepremier aveva annunciato il suo piano proprio nello stesso edificio di Lussemburgo, dove era arrivato per partecipare al primo Consiglio Ue: «Introdurremo il reddito di cittadinanza entro il 2018, spero di lavorare notte e giorno per questo obiettivo».
Mancanza di coperture
Ma il problema non sembrano essere le notti insonni del leader M5S, piuttosto la mancanza di coperture. Per l’anno in corso, infatti, Tria ha spiegato che «i giochi ormai sono fatti». E soprattutto che bisogna rimanere all’interno dei paletti fissati da Bruxelles.
Il ministro ha confermato che nel 2018 l’Italia intende rispettare la richiesta Ue di riduzione del deficit strutturale dello 0,3% (uno «sforzo» che vale più di cinque miliardi). Forse l’obiettivo sarà leggermente rivisto a causa del rallentamento della crescita, di questo – ha detto Tria – la Commissione è consapevole. Ma si tratterà di margini minimi. E comunque «ci muoveremo su interventi strutturali che non hanno costi» per esempio nel sostegno «agli investimenti pubblici».
Di Maio però non lascia e anzi raddoppia, aggiungendo nuovi dettagli alla sua proposta. Davanti alla platea della Uil ha detto che «il reddito di cittadinanza è uno strumento che può muovere tante obiezioni, ma io ci credo e dobbiamo farlo insieme». Così è entrato nel merito, spiegando che i disoccupati che ne beneficeranno avranno obblighi ben precisi: non solo i corsi di formazione, ma anche «otto ore settimanali di lavori di pubblica utilità» per il proprio Comune. Una novità che in campagna elettorale non era stata mai sbandierata, ma che in ogni caso non basta per risolvere il vero nodo dei «saldi invariati» su cui Tria sembra irremovibile.
Il nodo dei mercati
Del resto il ministro ha spiegato che il problema principale non sono tanto le istituzioni di Bruxelles e i parametri da rispettare, ma i mercati. In particolare la necessità di (ri)guadagnare la loro fiducia: «Questo è il vero vincolo». E infatti Tria non sembra intenzionato a ingaggiare chissà quale battaglia per avere maggiore flessibilità. Nella due giorni a Lussemburgo ha incontrato prima il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, e poi il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici. A entrambi ha ribadito la promessa di lavorare per ridurre il debito, anche se le discussioni non sono scese nel dettaglio sui margini di flessibilità che Roma potrebbe strappare. «Prima di parlare di margini – ha spiegato Tria – dobbiamo vedere se abbiamo bisogno di margini».
Un approccio estremamente rigoroso che sembra cozzare con le promesse contenute nel programma di governo. E che certamente rischia di far venire i nodi al pettine quando ci sarà da scrivere la prossima legge di Stabilità. Ieri l’Ecofin ha approvato le Raccomandazioni-Paese stilate il mese scorso dalla Commissione. E come ha ricordato Dombrovskis, l’Italia nel 2019 dovrà ridurre il proprio deficit strutturale di uno 0,6% del Pil. Il che vuol dire che il governo dovrà migliorare il disavanzo di oltre dieci miliardi di euro «in termini strutturali», ossia al netto delle misure una tantum. Tutto ciò è compatibile con la promessa Cinque Stelle del reddito di cittadinanza e con quella leghista della flat tax? A Bruxelles sono convinti che sia molto difficile, ma aspettano di vedere numeri e proposte nero su bianco prima di dare un giudizio. Che comunque, assicurano fonti Ue, potrebbe essere preceduto da quello espresso dai mercati.