il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2018
Infinito Proietti
“Buongiorno”. A lei, signor Proietti, ma sono le 13. “Mi sono svegliato da poco: da sempre vado a letto tardi”. E subito una sigaretta. “Cinque minuti fa (silenzio, pausa scenica. Poi il classico…) Voglio smettere. Magari ne lascio una prima di andare in scena”. In scena come questa sera, per l’ennesimo sold out a Roma: 3.700 persone per rivedere Toto e la saùna (accento sulla “u”), Pietro Ammicca, il baule di A me gli occhi please, il ricordo di Magni e Trovajoli, e per tre ore di show. “Ancora mi stupisco”. Bello stupirsi. “Non bello, fondamentale”. E a luglio, per tre sere, sarà a Verona per il 70° Festival shakespeariano, con l’Edmund Kean, uno dei testi più belli, intensi e complicati, dedicati a uno dei maggiori attori inglesi dei primi dell’800.
A Roma è oltre le 90mila presenze e 30 repliche.
Ci rendiamo conto?
Il pubblico ride prima delle battute…
Perché non ho mai puntato a un teatro di intrattenimento basato sull’attualità, quasi mai satira politica, qualcosa di costume, e forse questo ha reso alcune maschere così longeve; i miei sono spettacoli che una volta venivano definiti di ‘contaminazione’.
“Toto” ha il coro…
Guai se non lo porto in scena. È quello che capita ai cantanti in tournée per il nuovo disco: il pubblico va, ma alla fine vuole il cavallo di battaglia.
Sul palco anche le figlie…
Cantano tutte e due, poi in particolare una recita e l’altra è costumista; e non ho mai insistito per vederle impegnate in un mestiere come il mio.
Per rispetto o per evitare una carriera faticosa?
Tutti e due, poi sono donne e il repertorio tradizionale e drammaturgico è quasi tutto maschile, quindi è ancor più difficile emergere; inoltre un cognome importante può rallentare, tutti i figli d’arte lo soffrono, non per il pubblico, è l’ambiente a mormorare.
Dito puntato.
Anni fa ho preso un ristorante con l’idea di tenerlo aperto per il dopo teatro, in modo da accogliere i colleghi. Non ne ho mai visto uno. Un giorno un attore più onesto degli altri mi dice: ‘Te pare che annamo a dà i soldi proprio a te!’
Quando le chiedono da chi “discende” spesso utilizza una risposta di Petrolini.
Sì, ‘dalle scale di casa mia…’. Non amo le fratture con la tradizione, amo continuare, non è possibile smettere e riprendere con modalità diverse.
Ha spiegato: “Una battuta che normalmente fa ridere, a un certo punto, per ragioni imperscrutabili, non fa più scattare la risata”.
È successo a tutti e non bisogna farci caso, meglio proseguire, se uno è paziente la reazione positiva torna. Dipende da noi.
Sempre da “noi”…
Difficile individuare l’errore, e un tempo ero affetto da maniacalità, oggi meno… comunque non ci dormivo, pensavo e ripensavo.
Si arrovellava.
L’esperienza è fondamentale. Anni fa porto in scena a Roma Gaetanaccio di Magni, e ogni tanto organizzavamo una serata per gli ospiti degli ospizi: ridevano in zone diverse dal pubblico degli altri giorni.
Altra generazione…
Magari nel mezzo dello spettacolo sentivamo le badanti che consegnavano il cappuccino, la sirena accesa dell’ambulanza, o qualcuno che urlava: ‘Suoraaaa!’. Noi sul palco ridevamo, e il massimo dell’ovazione arrivava quando Gaetanaccio prendeva a tortorate il burattino della morte.
A luglio è a Verona con il “Kean”.
Il testo nasce per il laboratorio teatrale: se vuoi recitarlo come si deve, è necessario dare fondo a tutte le possibilità offerte dallo scritto, è una sorta di esposizione di stili e di momenti, di pause e accelerazioni; di dialogo normale, inframmezzato da passaggi shakespeariani.
Scritto da Fitzsimons…
L’ho visto la prima volta a Londra negli anni 80 recitato da Ben Kinglsey. Mi siedo in platea, via il sipario, lui al centro in camicia bianca, pantaloni neri e davanti un baule.
Come “A me gli occhi please”…
Eh sì; comunque ho voluto rappresentarlo come una malattia, una nevrosi tipica di tutti coloro che hanno l’ambizione di arrivare, fino alle estreme conseguenze.
Uno spettacolo complicato anche sul piano fisico.
Seduto darebbe un effetto meno importante, per questo evito tournée lunghe, non è possibile.
Si sta ancora antipatico?
Come dicevo, sono stato maniacale nella tecnica, mentre con gli anni ho scoperto che la tecnica serve, ma come base per la costruzione dell’opera. Poi bisogna dimenticarla.
A proposito di cavalli, su Sky Febbre da cavallo continua a colpire per gli ascolti.
Quando è uscito il successo fu molto limitato, i produttori recuperarono giusto i soldi; poi dopo 15 anni le tv locali iniziarono a trasmetterlo, e piano piano si è guadagnato le prime serate.
Steno regista e i figli Carlo ed Enrico nella troupe.
Come diceva Sergio Citti, ‘io non ho fatto del cinema, ma dei film’, tra i quali delle pellicole di intrattenimento insieme a Carlo ed Enrico, con i quali sono stato bene. Carlo poi è bravissimo, sa girare e conosce il gusto dell’ironia, esattamente come il padre.
Un padre-maestro…
Un intellettuale vero, aveva capito che se uno dirige Totò, non gli può dire cosa fare, basta una traccia e poi devi lasciare andare. Esattamente come con Aldo Fabrizi, mentre spesso i registi ci tengono a mostrare presunte capacità.
Fabrizi in platea, per lei.
Agli applausi finali salì sul palco, e per mezz’ora intrattenne un pubblico estasiato. Mentre parlava mi asciugava pure il sudore.
Flaiano diceva: “La situazione politica è grave ma non seria”.
È un paradosso, lui sapeva bene che dire seria significa poco o niente. Normalmente sono ottimista, ma che sia grave non v’è dubbio, ed è difficilissimo ricostruirsi un pensiero e formulare un’opinione.
Senza punti di riferimento.
I miei non ci sono più o sono diversi, hanno mutato identità, ma non amo il mugugno.