Corriere della Sera, 23 giugno 2018
Caschi, bastoni, pugni e calci: «Noi, aggrediti mentre prestiamo soccorso»
La prima volta che il dottor Gabriele Poti, medico del 118, dovette contarsi i lividi risale a una quindicina di anni fa. «Fummo chiamati per una persona che diceva di essersi sentita male, ma in realtà quando arrivammo stava già benissimo. Ci trovammo in mezzo a una discussione familiare per questioni di eredità che si trasformò in rissa. E colpirono pure noi. Poi arrivarono i carabinieri e furono aggrediti anche loro».
A distanza di tanto tempo il medico quasi ci ride sopra, ricordando quell’episodio. Anche perché dopo gli sono successe cose peggiori. Gli hanno rotto un piede a bastonate, e poche settimane fa è stato picchiato dal marito di una paziente, soltanto per avergli chiesto di lasciare che la moglie venisse caricata sull’ambulanza e portata al Pronto Soccorso.
Quello del dottor Poti è uno dei tanti nomi di operatori sanitari che negli ultimi mesi hanno subito aggressioni a Napoli o nella provincia. È pure complicato tenerne il conto. Da gennaio a oggi dovremmo essere a quota 45, stando a quanto riporta la pagina Facebook dell’associazione «Nessuno tocchi Ippocrate», nata un anno fa per denunciare i rischi che corrono medici e infermieri,impegnati nei servizi di emergenza.
Carenze strutturali«Noi siamo consapevoli che in Campania, per quanto riguarda il 118, siamo ancora lontani dagli standard nazionali. Per un codice rosso in altre regioni il tempo medio di intervento è di otto minuti, mentre qui è più del doppio», dice Manuel Ruggiero, medico in servizio sulle ambulanze e fondatore dell’associazione. Però, aggiunge, «la responsabilità non è degli operatori ma delle carenze strutturali del servizio. Oggi qualcosa si sta facendo, l’Asl Napoli 1 ha acquistato nuovi mezzi di soccorso e presto avremo le telecamere sia a bordo che addosso. Mi auguro che serva a darci un po’ più di sicurezza».
Che però, almeno per adesso è davvero poca. Le cronache si sono occupate di recente dell’autista sequestrato insieme all’ambulanza e costretto a recarsi sul luogo di un incidente stradale, ma lui, almeno, è rimasto incolume. Ad altri è andata molto peggio.
Un lungo elencoAntonio Del Prete, infermiere del 118 fu aggredito in strada, appena mise piede fuori dall’ambulanza: 70 giorni di prognosi e danni permanenti all’udito. Felice Fornaro, ginecologo all’ospedale di Pozzuoli, invitò un uomo, parente di una paziente, a uscire dalla sala dove doveva fare una visita: undici punti di sutura sopra l’occhio sinistro. Fabio Lipariti, infermiere, era in servizio al triage dello stesso ospedale: l’accompagnatore di una donna ritenne che stava perdendo tempo con tutte quelle domande e lo aggredì, intervenne un vigilante e quello gli spaccò il setto nasale. Ivana Savino, medico in servizio all’ospedale di Giugliano, aveva prestato il suo volto sorridente alla campagna antiviolenza promossa dalla Asl Napoli 2: è stata presa a schiaffi da una parente di una ricoverata, anche lei per aver chiuso la porta dello studio dove visitava i pazienti.
E poi Maria Rosaria D’Ambrosio, aggredita insieme a Lipariti, Gabriella Scafuro e Luciano Cacciuottolo, picchiati contemporaneamente (lui era intervenuto in difesa della collega), Gianfranco Capasso, Luigi Vallefuoco, Giacomo Nobis, Giuseppe Bruno, Raffaele Giordano, Stefania Recano, Francesco Barone, infermiere nel reparto di dermatologia dell’ospedale San Gennaro di Napoli, al quale hanno rotto il naso con un casco.
Questi sono solo alcuni nomi e alcuni episodi, ma ce ne sarebbero molti altri, e altri ancora se ne aggiungono quotidianamente. «Se poi vogliamo metterci pure gli insulti non la finiamo più, io quelli ho imparato a non sentirli nemmeno», racconta Fabio Lipariti. E Gabriele Poti aggiunge che «minimo una volta all’anno ci passiamo tutti, almeno noi del 118. A qualcuno va peggio e ad altri meno, ma poi ognuno continua a fare il suo lavoro perché ci crediamo e siamo convinti che sia un lavoro utile e importante».
Difesa psicologicaIl punto, però, è trovare un modo per evitare che questi episodi accadano. Alla Asl Napoli 2 Nord il direttore generale Antonio D’Amore ha organizzato per il personale corsi per sviluppare le giuste tecniche di approccio con gli utenti. «Sapersi relazionare nel modo giusto – spiega D’Amore – può rivelarsi fondamentale, in certe circostanze. Noi abbiamo affidato i corsi ai nostri psichiatri e devo dire che anche operatori di altre Asl ci hanno chiesto di partecipare, quindi credo che abbiamo fatto la scelta giusta».
L’obiettivo principale dell’intera categoria è però un altro: ottenere per medici e infermieri lo status di pubblico ufficiale. Così in caso di aggressione anche con danni lievi scatterebbe, come spiega il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli Silvestro Scotti, «una aggravante che potrebbe rappresentare un deterrente, perché i responsabili sarebbero perseguiti d’ufficio e non più solo su querela di parte, che spesso per evitare strascichi e spese non viene nemmeno presentata».