la Repubblica, 23 giugno 2018
Anatomia di una Pulce, cosa succede a Messi quando è in nazionale
Scegliete voi: tra cinema e letteratura. C’è solo l’imbarazzo: Dead Man Walking, Infelicità senza desideri, Il fantasma del palcoscenico. Aggiungeteci il solito classico: Triste solitario y final. Mescolate e avrete Leo Messi: mani nei capelli, testa bassa, inno ascoltato come fosse un requiem. Il calciatore più pagato del mondo e ogni quattro anni anche il più inutile. (S) Messi. Non è una colpa non vincere né l’Oscar né il Nobel: Marilyn Monroe resta un’icona anche senza la statuetta, Borges e Tolstoj vanno forte anche senza essersi messi il frac in Svezia. Però lo sport ha un suo modo di misurare la gloria, magari grezzo: sei grande quando batti e ti batti tra gli altri grandi. Lo riconobbe il duca di Wellington a Napoleone, sconfitto a Waterloo: «Quest’uomo onora la guerra». Perfino Roberto Duran, un mostro in libertà, 30 anni di pestaggi sul ring, uno che ti cavava il cuore, forse il più grande peso leggero di sempre, perse la sua fama l’unica volta in cui gridò “No más” a Sugar Ray Leonard e abbandonò l’incontro. Messi da 12 anni non ce la fa: nemmeno a onorare se stesso. Pure se cambia continente, cinque gol finora in quattro edizioni mondiali: 1 gol in Germania (2006), 0 in Sudafrica (2010), 4 in Brasile (2014). In Russia 1 rigore fallito, 11 tiri in porta, ma solo uno nei 90’ con la Croazia. Non è una statistica, è l’autopsia di una cadavere eccellente. È il rigor mortis di una solitudine, di un’estraneità, è l’incapacità di ammettere che il matrimonio è fallito, pure se per otto volte hai cambiato moglie (leggi ct). Aveva ragione due anni fa a volersi separare dalla nazionale e un amore sterile che lo soffocava, ma l’Argentina che ha avuto i notiziari della sera che dal 26 luglio ’52 al ’ 55 si interrompevano ricordando: “Sono le 20.25, l’ora in cui Eva Perón è passata all’immortalità”, non poteva accettare il divorzio. E lui è ricascato nell’insostenibile pesantezza dell’essere. E nell’ovvietà: l’Argentina non è il Barcellona, devi guidare, in Spagna il navigatore è inserito, premi l’acceleratore e vai. Non ha nemmeno festeggiato il giorno del papà: i compagni in giardino per il churrasco, lui solo in stanza. Domani Messi compie 31 anni. Doveva sapere che festeggiare in anticipo porta male: i russi gli hanno regalato una ceramica a forma di Coppa del Mondo. È ancora intatta e infatti vedi la sciagura. In Brasile a Leo hanno contato i passaggi ( 242), due di meno di Neuer, portiere della Germania (244) che dovrebbe giocare con le mani. E hanno registrato che ai Mondiali 2014 Messi ha dribblato 50 volte di più che nel Barcellona. Segno che lo schema è: palla a Messi e poi (non) ci pensa lui. Nemmeno la scelta di Sampaoli (sosia di Domenico Dolce) ha aiutato: un po’ per una questione di stile, non si era mai visto un ct così tatuato e confuso, 81 cambi in 13 partite con formazioni diverse. Sarà segno di intelligenza mutare spesso, ma non fa gruppo. Smentita la notizia di un golpe contro Sampaoli: ha un contratto fino al 2022 per 16 milioni di dollari, contro la Nigeria si continua con lui, tornati a casa l’addio. Certo non si è attirato le simpatie dei grandi ex. Diego Simeone in un audio con il suo vice Burgos: «La sconfitta con la Croazia è il risultato di quattro anni di anarchia della nazionale. Messi è molto forte perché al Barcellona gioca con calciatori straordinari». Duro anche Osvaldo Ardiles, campione del mondo nel ’ 78: «La peggiore selezione nella storia, Sampaoli ha finito la gara insultando i croati. È arrogante, ignorante e impresentabile. Con Messi, non è riuscito a mettere su una squadra competitiva». Maradona ha già detto tutto con il labiale: «Qui ci vogliono gli uomini». E invece c’è una Pulce. Senza fame.