Sono i disegnatori e gli archivisti Disney ad aprirci le porte del reparto illustrazione, una biblioteca con celle frigorifero sottozero dove si conservano 16 millimetri, spartiti di Bach, i calchi 3D della Sirenetta e di Pinocchio,
i fondali di Fantasia, la “multiplane camera” testata nel ’37 per Il vecchio mulino, gli scheletri-xilofoni della Skeleton Dance. Una montagna di tesori divisa tra Glendale e Burbank con le decorazioni da bistrò anni Trenta, lo scrittoio del cartoonist Floyd Gottfredson, che disegnerà Mickey fino al pensionamento. E ovviamente, accanto al primo biglietto da visita di Walt, le tavole del corto sonoro Steamboat Willie, 1928, scelto come anno di nascita ufficiale del topo più famoso del mondo. A Mickey Mouse, Walt Disney ha prestato voce e anima: «Mio padre non somiglia a Topolino. È Topolino», dirà la figlia Diane Disney Miller.
Dietro la facciata del palazzo Team Disney, con i sette nani in vetroresina, alti sei metri, continua la guerra tra Disney e Comcast per accaparrarsi gli asset che 21st Century Fox intende cedere: il colosso guidato da Bob Iger ha alzato a 71,3 miliardi di dollari l’offerta in cash e azioni.
«Grazie a Steamboat Willie il tratto di Walt Disney e Ub Iwerks fa la differenza con qualsiasi altro cartone», racconta Gianfranco Cordara, vice presidente di Disney Digital International. «Lunedì 13 gennaio 1930, Mickey Mouse debutta sulle strisce che portano il suo nome.
Disegnato originariamente da Iwerks, sono seguiti tre mesi di Win Smith e ben 45 anni di Gottfredson.
Questi artisti hanno posizionato Mickey sulle mappe del mondo». Il catalogo Disney comprende più di 10.000 titoli, volumi tradotti in 42 lingue, riviste e fumetti risalenti ai tempi in cui il presidente Roosevelt diceva ai contadini senza terra e agli operai: «Io vi restituirò l’America». Gli archivisti usano un guanto speciale per maneggiare i pezzi d’antiquariato Disney: il guanto bianco a quattro dita con tre striature nere al centro. Il guanto di Topolino.
Per preservare l’eredità dei prodotti di consumo Disney, la società di intrattenimento più potente al mondo ha chiamato a raccolta esperti librai ed illustratori giovani e storici.
A 83 anni, il primo animatore afro-americano della Disney è ancora nello Studio: Floyd Nornam ha dato vita a La bella addormentata nel bosco, Il libro della giungla, e per decadi, quando John Lasseter, il papà premio Oscar di Toy Story, non era ancora costretto a dimettersi per molestie, ha aiutato i classici nati dalla fusione Disney/Pixar a prendere forma. «Per me ogni superficie bianca era una tela», dice. «Disegnavo sopra qualsiasi cosa». E assicura di non aver «mai subito alcuna forma di razzismo» dagli anni Cinquanta ad oggi: «Non ci veniva proprio in mente, a noi neri, di cercare lavoro negli Studios. C’era la percezione che le opportunità per le persone di colore fossero limitate».
Diversità e inclusione, in casa Disney, sono una vecchia storia: i dipendenti, come dimostrano le targhette all’ingresso dello Studio, arrivavano tutti da svariate parti del paese. C’erano asiatici, ispanici, neri, bianchi.
Al centro archivi Disney possono fermarti fumettisti, come la mascotte Eric Goldberg, che disegnano Mickey Mouse da due generazioni e ancora amano le sfide: «Avvicinatevi. Cercherò di disegnare più Mickey che posso nell’arco di mezz’ora». Il tempo passa così. Creando e sognando. Il motto? «I creativi non appendono mai il cappello al chiodo». Lo staff ha un debole per le camicie hawaiane mentre le matricole somigliano a principi e principessine in stile Frozen. Dallo scanzonato Steamboat Willie «con Topolino che azionava la coda di una capra» e «aveva ingioiato un banjo» come se fosse «la manovella di un organino in una scatena jam session» fino alla prima proiezione pubblica al Colony Theater di New York il 18 novembre 1928: venti ettari di terra disneyana somigliano a un lungo amarcord, tra storyboard e schizzi mai mostrati al pubblico.
«Di Charlie Chaplin, Mickey ha rubato quel modo che ha di bighellonare, ma a differenza di Charlot resta un ottimista», sorride Rebecca Cline, direttrice dei Walt Disney Archives. “Becky” è la custode dei cimeli Disney che tutti i collezionisti vorrebbero possedere. «In certi casi, siamo noi dell’archivio ad andare a caccia di memorabilia anni Quaranta su eBay.
Recentemente ci è arrivato un pacchetto, senza mittente; conteneva il primo orologio da polso di Mickey Mouse, venduto al Sears Pavillon nella Chicago World’s Fair del ’33».
Alle donazioni si aggiungono una slitta, un triciclo, orologi da taschino, tazze, sveglie, bambole di velluto di Mickey e Minnie — «si temeva fossero andate distrutte durante la Seconda guerra mondiale» — e i souvenir del parco Disneyland che aprì il suo cancello nel ’55: il ciondolo di Miss Disneyland, il set di carte di Fantasyland e Frontierland, i giocattoli tratti da 20.000 leghe sotto i mari (diretto nel ’54 da Richard Fleischer, figlio del cartoonist Max Fleischer, con Kirk Douglas), 200 tatuaggi ispirati alla “Main Street”, riproduzione in scala della città di Walt nel Kansas. Con l’hashtag #Mickey90, il compleanno di Topolino vive sui social e nelle parole che l’Animation Research Library ci fa ascoltare: «Guai a toccargli un orecchio o un bottone. Topolino era ed è Walt», attesta Ward Kimball, uno “Nine old men”, i nove disegnatori storici, «nelle sedute di doppiaggio, Walt non poteva fare a meno di mimare i gesti e perfino le posizioni del corpo del Topo a cui prestava la voce.
Topolino è senza dubbio l’alter ego di Walt Disney».