il Giornale, 22 giugno 2018
Bahrami e il suo Iran: «Bach ha salvato me ma non la mia terra»
Da decenni non rientra nel suo Paese, nonostante i diversi inviti. Ma se oggi dovesse riscrivere il suo libro Come Bach mi ha salvato la vita (Mondadori) nell’Iran degli ayatollah che hanno vietato la musica un bambino di sei anni sogna di passeggiare felice con il grande compositore Johann Sebastian probabilmente, ammette, lo farebbe diversamente: «Parlerei di più della mia Persia, sono orgoglioso di essere persiano», dice il pianista Ramin Bahrami, in questo periodo in pista per raccontare col pianoforte e con le parole la sua ultima fatica discografica, il primo volume del Clavicembalo ben temperato di Bach appunto. Nella sua storia non solo virtuosismi alla tastiera e fughe in senso musicale scritte dall’antico e amato Kapellmeister di Lipsia ma anche tragedie familiari. Verso la fine degli anni Settanta, con la «rivoluzione» venne istituita la Repubblica islamica dell’Iran, definita come una «democrazia con tendenze teocratiche». Risultato: molti dei collaboratori stretti del precedente governo, quello dello Scià, finirono nel mirino, come il padre di Ramin che morì in carcere mentre lui, ragazzino, si trovava in viaggio in Italia.
«Come è la situazione ora? Se è cambiata, non è meglio. Certo io non rientro più, con quello che è successo non mi fido – spiega Però custodisco molti ricordi del mio meraviglioso Paese. Penso alla brezza del Mar Caspio dove andavo in vacanza coi miei genitori, il tè con il Samovar della nonna, le noci fresche, il pane di Teheran, il più buono che ho mangiato». L’iraniano Bahrami, 41 anni, che oggi vive a Stoccarda in Germania uno dei musicisti più noti al mondo per il suo impegno nello studio e nell’approfondimento del repertorio bachiano – quando parla della sua terra, anche se scandisce le parole in maniera distaccata, è visibilmente toccato. Segnato dai ricordi, ancora «bruciato» dall’esperienza giovanile. Chissà, riaffiorano le immagini dell’infanzia quando viveva là, con la sua famiglia. Erano altri tempi. Ramin, che si definisce «un monarchico», racconta le sue impressioni sullo Scià: «Una delle migliori persone che ci potessero essere. Sicuramente un uomo di potere, ma mi domando e domando, forse i politici che ci sono oggi non sono uomini di potere?».
In quegli anni l’Iran – che è uno dei primi produttori di petrolio a livello mondiale a suo dire era la Svizzera del Medio oriente. Nel 1979 cambia la politica col putsch della dinastia Pahlavi, che aveva portato il Paese a «essere una realtà florida», giura il virtuoso: in quel periodo si viveva molto all’occidentale, le ragazze giravano fino alle tre del mattino e nessuno le sfiorava con un dito, potevano vestire senza problemi all’europea. Il gentil sesso, precisa, al di là delle dicerie e delle «favole» ribadite dai media, in Persia «ha sempre comandato». In passato ci sono state donne regnanti, quando nel vecchio continente ancora non c’erano bagni e servizi igienici.
«La cultura – prosegue prima del cambio politico veniva portata sul palmo di mano e ben finanziata. Il pianista Arthur Rubinstein ogni anno veniva a suonare». Il governo aveva fondato nella città di Shiraz uno dei festival a livello internazionale più importanti per gli artisti, dove personaggi come il compositore Karlheinz Stockhausen, i violinisti Yehudi Menuhin e Isaac Stern e il compositore Luciano Berio erano di casa. «Di tutto questo – vuole aggiungere credo che sia rimasto ben poco. Adesso la cultura è trattata meno bene, così come la gente». Parla di una casta sempre più ricca e del «popolo che fa fatica a tirare a metà mese. Questa cosa non va certo bene da nessuna parte, tanto meno nella culla della civiltà mesopotamica», conclude.
Bahrami arriva in Italia con un visto turistico, accompagnato dalla madre, aveva 10 anni. A Milano va a studiare al Conservatorio «Giuseppe Verdi» col pianista musicologo Piero Rattalino. Poi i concerti, una carriera ad altissimi livelli, fino a diventare uno degli interpreti più quotati e ammirati. «Io fuggito altrove? Se tutto questo lo consideriamo come una fuga dalle ideologie sbagliate – continua allora sì, la mia è stata una fuga. Del resto sono trenta anni che non metto piede a Teheran, da libero la penso diversamente. E l’ho sempre detto da uomo di cultura, con civiltà e rispetto». E al di là di tutto comunque «l’Iran avrebbe bisogno che gli occidentali smettessero di saccheggiarlo, non avrebbe bisogno di europei pronti a fare i loro affari e basta». Critiche ma, come si legge, anche difesa del suo Paese, il dolore personale insieme alle contraddizioni che restano.
«Ma Bach salva davvero le vite sa? Riesce ad arrivare nel cuore di tutti. E così è stato anche per me rimarca Mi ha fatto da padre e madre, ma è stato fratello, sorella e anche zio». Gran finale sul suo lavoro: «Sono estremamente orgoglioso dell’ultima fatica discografica, perché conclude un ciclo fondamentale per chi ama questo autore spiega Dopo aver affrontato quasi tutto, i capisaldi del suo repertorio, mancava appunto La tastiera ben temperata. Che non è il Vecchio testamento della musica ma l’unico Testamento possibile. Probabilmente Johann Sebastian avrebbe voluto scrivere anche il terzo volume». Ma non ne ha avuto il tempo.