Il Messaggero, 22 giugno 2018
«Alla tv preferisco la musica». Intervista a Neri Marcorè
Solidarietà marchigiana: per Neri Marcorè, cinquantaduenne cittadino di Porto Sant’Elpidio, ormai è una missione animare la sua regione, ferita dal terremoto e «dalla lenta risoluzione dei problemi» come ci tiene a sottolineare. Attore partito, come tanti, con le imitazioni («ho debuttato a Stasera mi butto, facendo Zoff e Vialli», ricorda), passato dagli show del gruppo Guzzanti-Dandini, doppiatore, cantante, un anno fa ha avuto l’idea di lanciare RisorgiMarche, festival diffuso nei luoghi nascosti, facendo spettacoli nei prati, fra le montagne e il cielo. E ora è pronto al bis: «Nella prima edizione abbiamo centrato l’obiettivo con 80 mila presenze, ma il lavoro per ricostruire non è finito» dice. Così, dal primo luglio, si ricomincia con gli artisti che partecipano a titolo gratuito.
Marcorè, un anno fa ci fu una forte adesione, da De Gregori a Fiorella Mannoia. È stato difficile mettere insieme il bis?
«Abbiamo rilanciato e stavolta verranno anche artisti stranieri come Noa e Toquinho oltre a Piero Pelù, Angelo Branduardi, Simone Cristicchi, Mario Biondi, Alex Britti, Clementino, Luca Carboni, Irene Grandi, Andrea Mirò, Paolo Belli. E il 2 agosto sarò io a chiudere con un concerto assieme allo Gnu quartet».
La musica sembra che sia ormai la sua attività principale.
«La passione per la musica e la chitarra sono state la molla di partenza della mia carriera. Comunque è vero, negli ultimi tre anni sono andato in tour con Quello che non ho, che prendeva spunto da De Andrè e da Pasolini per parlare di presente e futuro usando le loro riflessioni».
Lei ha raggiunto il successo in tv, ma da tempo la frequenta con circospezione.
«L’ultima cosa l’ho fatta in autunno con Celebration, tutto sommato un’esperienza positiva».
Anche se è stato chiuso in anticipo?
«Ormai tutte le valutazioni si fanno attraverso l’audience. Detto questo, la tv per me resta un luogo da frequentare con parsimonia, dà popolarità ma rischi di inflazionarti rapidamente. Il risultato è sempre frutto di compromessi. Per questo preferisco far musica, cinema e teatro. Diciamo che è cambiata la tv più di quanto sia cambiato io. Oggi tutto è competizione, oppure ci sono show fatti da sequenze di comici, uno dietro l’altro».
Molti di loro si rifugiano nell’imitazione.
«È una scorciatoia perché non c’è bisogno di riconoscibilità, però è un genere che vive di ondate. Negli anni 80 gli imitatori non li voleva più nessuno, poi con Stasera mi butto la moda è ripartita. Io ho fatto imitazioni per 22 anni di seguito. Oggi basta».
Forse ci sono meno personaggi da imitare, anche sul fronte politico. Uno dei suoi cavalli di battaglia è stato Gasparri.
«La politica ha smesso di dare spunti, intristisce e preoccupa. Non c’è nulla da ridere. A una certa età, poi, c’è meno disinvoltura, rischio di diventare io quello ridicolo».
Insomma, pare di capire che la sua professione sia guidata più dai no che dai si.
«Non ho la smania di fare e sono esigente. Non lavoro per fatturare e basta. Dopo ventotto anni posso permettermelo, è all’inizio della carriera che si dicono tutti si».
E lei lo ha fatto?
«Sono stato bravo a non avere paura di stare fermo. Dopo l’iniziale exploit ho rifiutato varie proposte, pur non avendo alternative e sono tornato a fare traduzioni dal tedesco e dall’inglese, sfruttando quello che avevo studiato nella scuola da interprete. Poi tutto è ripartito con il Pippo Kennedy show».