la Repubblica, 21 giugno 2018
Quant’è difficile ballare Shakespeare
Tra classici, provocazioni, sperimentazioni, anche nel balletto Shakespeare è l’autore più rappresentato. E non solo per il tradizionalissimo e super-rappresentato Romeo e Giulietta, sulla cui tragedia d’amore si sono cimentati da Kenneth MacMillan a Rudolf Nureyev (con Margot Fonteyn: indimenticabili). Nella lista c’è il Sogno di una notte di mezza estate rivisto da George Balanchine, John Neumeier, Frederick Ashton, e poi Otello e perfino Amleto. Suscita sorpresa invece l’interesse per il testo più filosofico, riflessivo, meno movimentato, a parte l’uragano d’avvio: La tempesta, che il balletto ha amato con Nureyev, ma anche con il più eccentrico spettacolo di Crystal Pite e Kidd Pivot e in Italia con Fabrizio Monteverde. Con una nuova versione della commedia di Prospero, vecchio re spodestato e naufrago che si affida alla magia per dare un senso alle cose del mondo, si cimenta l’Aterballetto- Fondazione Nazionale della Danza, tra le compagnie primarie del balletto italiano, per affrontare la fase di rinnovamento, impressa dalla neo-direzione di Gigi Cristoforetti con un piano di progetti transdisciplinari, nuove reti e relazioni nazionali e internazionali.
Tempesta, che dopo il debutto al Piccolo Teatro di Milano (ad applaudirlo c’era anche Giulia Lazzarini, la Ariel della leggendaria messa in scena di Strehler) sarà domani e sabato al Vignale-Monferrato Festival e poi in tournée, deciso dalla precedente “gestione”, è dunque una transizione verso il futuro mettendo a confronto l’arte del movimento con quello della narrazione.
La ricostruzione danzata è un po’ ingenua, perde un po’ di autenticità “teatrale”, e si limita a ripercorrere la linea degli eventi del testo di Shakespeare, col rischio, ovvio, di ridurlo alla vicenda di un uomo e di una figlia, la quale cresce accanto a un indigeno, Calibano, ma diventata adulta si innamora dell’aristocratico naufragato sull’isola, in un finale a tarallucci e vino in cui anche il padre riavrà la sua corona e Calibano guarderà il mare aspettando l’avvenire. Le nuove coreografie di Giuseppe Spota, nella convenzione del moderno, piegano però la danza con la sua grammatica del movimento alle esigenze drammaturgiche in modo non banale. Contano la precisione del movimento e l’intensità: la compagnia dell’Aterballetto si conferma preparata, a partire da Martina Forioso-Miranda, ma anche Philippe Kratz, Hektor Budlla, la Ariel di Serena Vinzio che “vola” grazie a due porteur, Giulio Pighini.
Curiosamente, la cosa meno interessante è la novità più spinta dell’esperimento,ma in realtà molto convenzionale: le musiche di Giuliano Sangiorgi.