la Repubblica, 21 giugno 2018
L’economia double face dell’Italia
Juan Domingo Peron, negli anni Cinquanta, dal balcone del suo palazzo arringò la folla che riempiva la torrida piazza: «Con cosa fate la spesa, in dollari o in pesos?» Ottenuta dal popolo la risposta «in pesoooos», urlò: «Allora vi darò tutti i pesos che volete». Con lo stesso spirito i gialloverdi hanno redatto il loro contratto di governo da 100 miliardi di euro a colpi di “flat tax”, riforma della Fornero, e reddito di cittadinanza.
Lo spread e l’Europa, dopo la crisi del 29 maggio, quando si rischiò il contagio europeo proprio mentre il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco amministrava il rito delle “Considerazioni finali”, hanno suggerito più miti consigli. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria è dovuto intervenire per rassicurare i mercati sulle intenzioni dell’Italia sull’euro e sui conti pubblici.
Da allora la nostra condotta di politica economica, per quanto ancora allo stato embrionale, è diventata double face. Con tutte le ambiguità che comporta il posizionamento su un doppio binario di un tema così delicato. Il primo discorso parlamentare di Tria, per l’approvazione della risoluzione di maggioranza al Def, il documento che imposta la nostra policy nei prossimi tre anni, è stato accolto bene da Bruxelles. L’economista che siede in via Venti Settembre ha detto di non voler mettere a repentaglio il consolidamento di bilancio già impostato dal suo predecessore e ieri ha aggiunto di voler agire «in continuità con il passato»; ha professato di credere nella riduzione del debito come condizione essenziale di stabilità finanziaria, si è impegnato a non far crescere la spesa corrente (al massimo quella per investimenti), ha perorato una «stretta collaborazione con Bruxelles».
La piena adesione al mainstream europeo ha portato anche Pier Carlo Padoan a esprimere la propria soddisfazione per i contenuti del discorso del suo successore sulla scrivania di Quintino Sella, ma un effetto diametralmente opposto c’è stato tra gli attivisti della prima ora, più vicini all’area euroscettica di Lega e M5S, che hanno dovuto fare più di uno sforzo per soffocare il malumore. Del resto, hanno dovuto già rinunciare alla doppia moneta, al Piano B, a Paolo Savona all’Economia e alla “sanatoria” a favore del Tesoro di 250 miliardi di titoli di Stato cumulati da Bankitalia con ilquantitative easing: in qualche modo, all’interno della loro ossessiva logica di avanguardisti della rivoluzione gialloverde, possono vantare le proprie ragioni.
Invece nello schema doppio della politica economica che sta segnando il nostro Paese, si rischia di deragliare sul binario sul quale continuano a correre pericolosamente i due vicepremier che, anche negli ultimi giorni, non hanno rinunciato a offrire “pesos” al popolo dal balcone. Salvini ha continuato a parlare di rivoluzione fiscale, di qualche genere di “flat tax” e di condono. Di Maio non molla sul reddito di cittadinanza e, pur sapendo che costa almeno 14 miliardi, continua a sperare di metterlo nella legge di Bilancio. Sulle pensioni, argomento così pericoloso che Tria in Parlamento lo ha abilmente evitato, Salvini non rinuncia a proporre il truculento “smontaggio” della Fornero, mentre Di Maio s’inventa un improbabile fondo per aumentare le pensioni minime con le poche risorse che verranno dal taglio delle pensioni d’oro. Lo sforzo di Tria non può che essere apprezzato. Ma l’Italia double face a Bruxelles rischia.