la Repubblica, 21 giugno 2018
Giappone, il videogioco che scaccia la depressione
Un giapponese su 15 soffre di depressione, e solo uno su quattro riceve adeguate cure mediche. Aiko Shimizu, fondatrice di Hikari Lab, ha ideato perciò quella che potrebbe rivelarsi la soluzione adatta a un paese popolato da gheimu otaku (quei nerd che passano intere giornate ai videogiochi): si tratta di una app di nome Sparx che oltre allo svago “somministra” un trattamento contro la depressione. La proposta nasce alla fine degli anni 2000 in Nuova Zelanda per contrastare l’alto tasso di suicidi tra gli adolescenti. Sparx non è altro che un videogioco di ruolo ambientato in un mondo fantasy medievale dove gli utenti man mano che affrontano ostacoli e sfide lungo il percorso accumulano forze e poteri che l’app si impegna a convertire in un’iniezione di fiducia in se stessi.
La soluzione ideale per un paese dove ai personaggi di fantasia viene attribuito ogni sorta di superpotere: ci sono mascotte create con la missione di aumentare il traffico di utenti sulle linee di autobus. Qui esiste la convinzione che un eroe immaginario abbia una capacità di persuasione più efficace di una persona reale esperta e qualificata. Ad esempio nel primo livello del gioco agli utenti viene chiesto di compiere profondi respiri: semplice operazione che favorisce il rilassamento fisico e mentale, ma in pochi la mettono in pratica nella vita concreta. Eppure se la prassi viene incorporata come compito del proprio avatar i giocatori, in piena trance ludica, seguono ciecamente le istruzioni.
La strategia del “terapeuta tascabile” è quella di esternalizzare i sentimenti negativi (i mostri sono sfere trasparenti da abbattere a classiche pistolettate) e di conseguenza portare il paziente/giocatore a coscienza del fatto che possono anche essere sconfitti. Rispetto alla versione neozelandese quella giapponese produce avatar con occhioni tipici dei personaggi dei manga, ma soprattutto è vietato il keigo, il freddo linguaggio della cortesia nipponica, capace di gelare sul nascere qualunque trasporto empatico. Quella sperimentata da Hikari Lab è una complessa soluzione tecnologica che scaturisce però da una semplice constatazione: per un cittadino del Sol Levante la sala d’aspetto di uno studio di consulenza crea maggiore apprensione di quella di un dentista. Nella terra degli oltre 20mila suicidi l’anno lo psicologo non figura come un alleato ma è piuttosto è il whistleblower che mette a nudo il profondo malessere nazionale.