la Repubblica, 21 giugno 2018
Tripoli città in mano alle milizie. Equilibrio politico a rischio
Il salone arrivi dell’aeroporto di Mitiga, l’unico scalo che funziona a Tripoli, alla periferia della città. Alle nove di sera, atterrano i voli da Tunisi e dall’Africa, strapieni di famiglie con bimbi che rientrano alla fine del Ramadan. La sala è stata rinnovata, dal soffitto in cartongesso penzolano ordinate le insegne per indirizzare i passeggeri, per ricordare il divieto di fumo. All’improvviso all’esterno, alle spalle della lunga fila, sul piazzale risuona un colpo secco, un colpo di kalashnikov. Un colpo singolo.
L’arma è caduta dalle mani del miliziano, era senza sicura, il proiettile è sfilato verso il cielo; dentro il salone chissà perché cade a terra una tabella “divieto di fumo”. La fila sbanda impaurita e nervosa, le guardie urlano fra di loro. È questa la sicurezza di Tripoli, affidata a milizie da brividi. Che sono la vera malattia che infesta la Libia.
«Arriva presto il vostro ministro dell’Interno?», chiede il manager di una compagnia petrolifera straniera che rientra dall’Europa: «Auguri, dovrà fare in fretta a capire quanto conta qui il governo dei politici e quanto contano invece le milizie, dovrà imparare tanti nomi…».All’aeroporto a fare i controlli c’è una polizia di frontiera in borghese, poi dei soldati in tuta mimetica, poi degli “agenti dell’intelligence” (così li chiamano) in borghese che fanno un ultimo controllo in un piccolo ufficio sporco come un ripostiglio delle scope. Fino a pochi giorni fa dicevano che la sicurezza dell’aeroporto la fa “Rada”, la Special Deterrence Force del giovanissimo capo salafita Abdedl Raouf Kara. La SDF si è specializzata nella polizia giudiziaria, gestisce alcune carceri e soprattutto dà la caccia ai terroristi islamici più pericolosi, innanzitutto quelli dell’ISIS.
Ma adesso qualcosa di strano rende nervosi tutti. Altri gruppi hanno capito che la presenza di Kara all’aeroporto è un vantaggio troppo smaccato. La notte in un aeroporto che ormai è stato inglobato fra le mille case della Tripoli orientale, atterrano di continuo voli misteriosi. Dicono che siano carichi di armi, traffici di ogni genere, che passerebbero da Mitiga così come fino a pochi anni fa passavano da Tripoli International, l’aeroporto fuori città che da posto è stato ristrutturato e presto potrebbe essere utilizzato. «E anche lì ci hanno segnalato che da pochi giorni potrebbero esserci stati dei voli notturni», dice in un hotel del centro un diplomatico arabo. Un aeroporto è strategico. Ecco perché a Mitiga nel frattempo si sono visti spesso gli uomini di un’altra milizia potente, la “Tripoli Revolutionaries Brigade” di Hajtam Tajuri, detto “il capitano”, oppure “il fighetto” da qualche italiano per il suo stile asciutto e raffinato. Tajuri era un semplice poliziotto ai tempi di Gheddafi. Mentre nel 2011 tutti festeggiavano la rivoluzione, lui si impossessò di armi, macchine della polizia, autoblindo, e diede vita alla sua start-up militare: creare un esercito per la sicurezza di Tripoli, vendendo i servizi al governo. Alì Zidan, il debole premier che è durato soltanto pochi mesi, lo promosse capitano da soldato semplice. Gli garantì fondi e stipendi per decine di migliaia di uomini, mentre all’inizio in verità la sua TRB aveva solo poche centinaia di miliziani. Tutte le milizie hanno fatto così, per anni: dichiaravano al Ministero dell’Interno o della Difesa 10.000 soldati mentre ne avevano soltanto 1.000. Ma anche poche decine bastavano a metter paura ai ministri impotenti che quindi versavano (versano) milioni di dinari sui conti correnti dei capimilizia. È così ancora oggi con Fajez Serraj, il primo ministro di un governo riconosciuto dall’Onu che viene protetto da un equilibrio incerto fra le insaziabili milizie di Tripoli.
Un equilibrio che inizia a scricchiolare: «Prima è venuto l’incontro di Parigi», dice un esperto europeo che non vuole essere citato, «i francesi hanno messo allo stesso tavolo tre autorità istituzionali o presunte tali come Serraj, il capo del Parlamento di Tobruk e quello del “senato” di Tripoli ma con loro c’era il generale Haftar, che è un potente capomilizia ma non è riconosciuto come autorità politica». Il solo fatto che Serraj sia andato ancora una volta da Haftar a Parigi ha fatto temere un accordo sottobanco col generale dell’Est: lui, il generale, diventava capo militare di tutto il paese, e il primo ministro riceveva un ruolo politico nella Libia del futuro. I primi a innervosirsi sono i misuratini e a Tripoli gli uomini di Tajuri. Un libico che conosce Roma dice: «Quelli di Tajuri sarebbero come i vigili urbani di Monteverde con auto blindate e qualche carro armato; le milizie di Misurata sono un esercito che ha aviazione e che ha sconfitto l’ISIS a Sirte 2 anni fa…». Tajuri ha agito subito dopo Parigi, ha fatto sloggiare la Guardia presidenziale che controllava i palazzi del potere («per noi libici quella è come i metronotte da voi…», dice il libico) e ha messo Serraj ancora di più con le spalle al muro. Per ora i soldati di Misurata si sono avvicinati alla città e all’aeroporto di Tripoli International. In Libia Salvini troverà il traffico di migranti, ma anche molto altro.