Corriere della Sera, 21 giugno 2018
La conversione di Giroud, la preghiera prima dei gol
SAN PIETROBURGO Più che un cambiamento, una rivoluzione. Doppia e ovviamente francese. Da una parte c’è quella del campo: il c.t. Deschamps contro il Perù rilancia Giroud al centro dell’attacco, con Matuidi esterno alto a sinistra nel 4-2-3-1. Dopo la stentata vittoria (2-1) sull’Australia, ai francesi servono muscoli, fiato ed esperienza per tenere a bada i sudamericani già disperati. Dall’altra parte c’è invece quella che riguarda proprio il 9 della Francia, passato nell’arco di pochi anni da sex symbol e uomo immagine di abiti e cosmetici, preso di mira dai tabloid inglesi (con tanto di classica «confessione» a pagamento di una escort) a centravanti devoto, quasi un crociato del gol.
Lo scandalo montato in Inghilterra, dove Giroud gioca dal 2012 (prima all’Arsenal e ora al Chelsea) risale al 2014. Appena due anni dopo, lo statuario Olivier (192 cm per 90 chili) si è fatto ritrarre in ritiro con i Bleus mentre è a letto che legge il suo libro del cuore – «Un momento con Gesù» di Sarah Young – che tiene sempre con sé sul comodino. Non ci sono elementi per pensare che la «conversione» del bomber francese, sempre così discusso per le sue prestazioni ma sempre così utile, sia un’operazione di semplice facciata. Ma è evidente che l’immagine pubblica del giocatore è radicalmente cambiata. «Il 9 è il numero del mio destino? Non direi – ha detto Olivier —. Piuttosto direi il 7: come i sacramenti, i peccati capitali, le gioie e i dolori di Maria. Il 9 della Francia era libero e l’ho preso, ma non l’ho chiesto». E ancora: «Mi capita di pregare in piena partita. Dura qualche secondo appena, ma serve per sentire meno la frustrazione di certi momenti. E anche il tatuaggio sul braccio mi serve da promemoria: il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla».
Le radici di Giroud sono quelle della Francia profondamente cattolica e «montanara». La madre Antonia è di origini italiane e, come recita l’auto-agiografia dell’attaccante «a 10 anni mi ha insegnato bene tutte le parole della Marsigliese, perché non le sbagliassi».
Nato a Chambery in Savoia, ma cresciuto in un paesino, ultimo di quattro fratelli (uno dei quali, Romain, è da sempre il suo procuratore), Olivier era soprannominato «Chaussette» come il lupo di Balla coi Lupi (in italiano «Due Calzini»), perché era sempre l’ultimo a ottenere le cose: in Ligue 1 ad esempio ha debuttato a 24 anni, dopo un inizio di carriera da motore diesel di vecchia generazione. Anche in Nazionale è sempre discusso, da critica e da tifosi, ma le partite giocate sono 75 e i gol 31, che lo rendono attualmente il quarto miglior marcatore della storia, dietro a Henry (51), Platini (41) e Trezeguet (34). Per lui anche il premio Puskas, per il gol più bello del 2017 (segnato al Crystal Palace). Decisamente non male, come si è accorto anche Antonio Conte che a gennaio lo ha voluto al Chelsea (5 gol e 3 assist in 18 partite), approfittando delle incomprensioni ormai insanabili tra Giroud e Wenger all’Arsenal. Olivier continua a segnare, combatte sempre (contro l’Australia è entrato in campo nella ripresa con la testa fasciata per la zuccata micidiale presa in amichevole con gli Usa), piace alle mamme e alle figlie. Soprattutto dopo la sua rivoluzione interiore.
Sul campo invece il cambiamento si è fermato alle lacrime per l’Europeo perso in casa. Da oggi, si riparte.