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 2018  giugno 21 Giovedì calendario

«Non ho più l’età». Garattini lascia la guida del “Negri”

Ha fatto la storia della scienza degli ultimi cinquant’anni. Dai laboratori del suo istituto, il Mario Negri, ha portato avanti battaglie scomode: a favore della vivisezione, contro i farmaci inutili, contro i brevetti blindati, contro l’omeopatia. Ora Silvio Garattini, lo scienziato col dolcevita bianco, lascia. Alla soglia dei 90 anni, cede la direzione e, dal primo luglio, andrà a ricoprire l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione. «Ma ovviamente continuerò ad andare al Mario Negri tutti i giorni – spiega lui, instancabile -. Mi limiterò a cambiare ufficio ma ci sarò. Cedo il mio ruolo per questioni anagrafiche, preferisco che questo passaggio avvenga in una situazione di normalità anziché di emergenza. Ma sarò sempre presente, perché la scienza ha anche bisogno della memoria storica: sta a me ricordare com’erano i bambini malati di poliomielite perché non esistevano i vaccini, sta a me far presente che il Sistema sanitario nazionale, per quanto migliorabile, sia un bene straordinario che abbiamo costruito passo dopo passo. Prima se non avevi i soldi non ti potevi nemmeno operare». 
A prendere il posto del «prof» sarà Giuseppe Remuzzi, 69 anni, nefrologo. Un volto tutt’altro che sconosciuto per l’istituto: responsabile della sede bergamasca del Mario Negri, ha portato avanti lavori enormi, tra cui le ricerche per risolvere il divario tra limitata disponibilità di organi da trapiantare e crescente numero di pazienti in attesa di un trapianto. Con un approccio innovativo (trapianto di due reni di persone anziane in un solo ricevente, dopo accurata valutazione delle condizioni degli organi) queste ricerche hanno permesso di aumentare il numero dei trapiantati. Le sue ricerche più recenti riguardano le possibilità di rigenerare i tessuti e creare organi in laboratorio utilizzando cellule staminali.
Sul tavolo di Remuzzi, Garattini lascia parecchie sfide aperte: «Sfide grosse – spiega lo scienziato – Innanzitutto dobbiamo aumentare l’alfabetizzazione scientifica, soprattutto ora che i social network danno la parola a chiunque. Poi dobbiamo ancora far capire che in Italia la ricerca non va considerata una spesa ma un investimento. Investiamo l’1,2% del Pil, comprese le spese per l’università, quando la Germania investe il 3,5%. E poi dobbiamo batterci per non affidarci alle mode. Già, esistono anche nella scienza. Le novità vanno sempre integrate a quel che già sappiamo». 
Il metodo Garattini continuerà e le sue parole chiave, quelle che ha pronunciato durante il passaggio di testimone e il saluto davanti a tutto lo staff dei laboratori, resteranno indelebili: entusiasmo, ricerca, tenacia. Gli stessi principi che lo hanno spinto in tutte le sue tappe. Quando, nel 1963, ha deciso di fondare un istituto indipendente per portare la ricerca farmacologica al di fuori dei laboratori delle industrie. Quando ha deciso di far pulizia di tutti i farmaci inutili. Quando, nel 1976, fu accusato di voler scagionare i responsabili della strage di Seveso con dati falsi sulla diossina. O ancora quando, dopo l’arresto di Poggiolini, nel 1993, risanò le sorti economiche della sanità. 
Ora, formalmente, l’unico pioniere presente nel direttivo del Mario Negri, rimane Armanda Jori, leva 1933, tra i 22 «matti» che fondarono l’istituto. Lei, che fu la prima del gruppo a pubblicare una ricerca scientifica (sul meccanismo dei farmaci anti depressivi), ricorda ogni attimo degli inizi: «Cominciammo a lavorare quando i cantieri della sede di Quarto Oggiaro a Milano erano ancora aperti. Anzi, qualche lavoro fu rinviato perché stavamo costruendo sui terreni di un contadino che voleva prima raccogliere le carote che aveva piantato». E da quel giorno, Jori ricorda l’insegnamento base di Garattini a loro, giovani scienziati: «Non dimenticate mai che la ricerca deve arrivare sempre al letto del paziente, altrimenti non ha senso».