Corriere della Sera, 21 giugno 2018
Eritrea, finisce la guerra africana più lunga
Un altro confine, un altro Mondiale: vent’anni fa, mentre l’Italia di Baggio e Di Biagio usciva ai rigori a Francia ‘98, migliaia di giovani venivano ammassati alla frontiera (contesa) tra Etiopia ed Eritrea. Ragazze e ragazzi «ingabbiati» nelle trincee di una guerra d’altri tempi, che nel giro di due anni si portò via 80 mila persone. Una guerra (qualcuno la chiamò «una sfida tra calvi per il possesso di un pettine») che malgrado il cessate il fuoco del 2000 non si è mai conclusa davvero.
Fino a ieri: nel Giorno dei Martiri, in una piazza gremita di Asmara, il presidente eritreo Isaias Aferwerki ha salutato come «segnale positivo» l’apertura del nuovo premier etiope Abiy Ahmed che, dopo anni di lotta, ha teso la mano ai vicini. Mentre il mondo discute con toni bellicosi di altri confini, da un angolo del Corno d’Africa arriva una buona notizia. Il governo di Addis Abeba il 5 giugno aveva accettato il verdetto della Commissione Onu che dopo la fine dei combattimenti fu incaricata di dirimere la disputa frontaliera. E il regime di Asmara ora accoglie l’invito per inviare una delegazione ad Addis. Si mette in moto un dialogo che non sarà facile. Ma ha un punto fermo. L’Etiopia accetta che quel «pettine» conteso, quel territorio intorno al polveroso villaggio di Badme, appartiene proprio all’Eritrea, che il 6 maggio 1998 l’aveva occupato militarmente scatenando un conflitto spaventoso. Curiosamente, è il riconoscimento del vecchio confine fissato a fine Ottocento nel trattato fra Regno d’Italia e il negus Menelik II, che ce le aveva suonate nella battaglia di Adua. Rimase tutto congelato fino agli anni 80 del Novecento, quando i ribelli eritrei di Aferwerki combattevano accanto alle milizie del Tigrè (la parte nord dell’Etiopia) contro il dittatore Menghistu.
Dopo la sua cacciata le mappe disegnate dai tigrini, al potere ad Addis Abeba, comprendevano pezzi dell’antica provincia italiana di Eritrea. Con l’indipendenza di quest’ultima nel 1993 (e il deteriorarsi dei rapporti fra vecchi alleati) la questione di Badme divenne pretesto per un conflitto che fu paragonato alla Prima guerra mondiale.
Mentre in Europa Di Biagio sparava sulla traversa il rigore contro la Francia, una scaramuccia divenne guerra totale tra due tra i Paesi più poveri del mondo, già alle prese con la siccità e la carestia. I governi di Meles Zenawi e di Isaias Aferwerki si buttarono in una corsa al riarmo: l’Etiopia acquistò caccia dai russi, Asmara si rifornì di elicotteri dagli italiani. Entrambi gli eserciti raggiunsero le 300 mila unità. Vennero bombardate città da una parte all’altra. Gli eritrei (un decimo della popolazione totale, un quarto dei soldati donne) subirono la controffensiva avversaria e provarono l’arrocco. I generali nemici li sbeffeggiavano nei comunicati ufficiali: «Loro sono bravi a scavare trincee, noi a trasformarle in cimiteri». Asmara accusò Addis Abeba di lanciare «ondate» di ragazzi verso la morte. Una delle battaglie cruciali vide la conquista di una collina con l’impiego della semplice fanteria, con branchi di asini terrorizzati a scompigliare le fila nemiche.
Alla fine il secondo Paese più popoloso del continente ebbe la meglio sulla piccola Eritrea. Prima dell’armistizio del 2000, ottantamila morti rimasero sul campo. Il cessate il fuoco non produsse mai un trattato di pace, perché la componente tigrina al potere ad Addis Abeba non accettò il verdetto (emanato 18 mesi dopo) su quello «stupido» confine. I nazionalisti in Etiopia ne fecero una questione di orgoglio. Il governo di Aferwerki approfittò della situazione di guerra latente per fare della leva obbligatoria una leva permanente. I ragazzi eritrei cominciarono a fuggire in massa oltreconfine e oltremare per evitare i lavori forzati in divisa. Un confine rimasto per decenni sulla carta divenne muro invalicabile. Popolazioni e famiglie divise. Prima della guerra una ragazza del villaggio di Sertha, lato eritreo, andò in sposa a un ragazzo del lato etiope. Dopo il conflitto, la donna morì. La sua famiglia potè seguire il funerale soltanto con gli occhi, dalla cima di una collina.
Il disgelo di questi giorni ha già i suoi ostacoli. Le proteste dei veterani nelle zone del Tigrè. I mugugni nel governo. Con Abiy Ahmed, per la prima volta l’Etiopia è guidata da un oromo, etnia che guarda con più distacco alla guerra del Nord. Il percorso sarà lungo, ma uno steccato è cominciato a cadere. In Africa.