Giancarlo Perna per “la Verità”, 20 giugno 2018
RITRATTONE BY PERNA DI PAOLO CIRINO POMICINO - "È L'UNICO TESTIMONIAL DELLA VECCHIA DC, SOPRAVVISSUTO A TRE INFARTI, È OSPITE FISSO IN TV - SEI FRATELLI, FAMIGLIA BENESTANTE, PORTATO IN PARLAMENTO DA ANDREOTTI, FU PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE BILANCIO CON LE MANI IN PASTA IN TUTTE TRANSAZIONI FINANZIARIE DELLA REPUBBLICA - SUBÌ 42 PROCESSI E NE USCÌ CON 40 ASSOLUZIONI E 2 CONDANNE" -
Gira che ti rigira, Paolo Cirino Pomicino, 78 anni, è l' unico testimonial della vecchia Dc. A parte il caso di Sergio Mattarella, che si è riciclato al Quirinale, gli altri o sono rincitrulliti o decrepiti come Ciriaco De Mita (90) e Arnaldo Forlani (92). Pomicino, al contrario, pur in età sinodale, ha la verve intatta e le energie moltiplicate dall' irritazione che nessuno del Palazzo lo cerchi. Inoltre, la sua vivida intelligenza gli suggerisce interpretazioni golpiste sulla caduta del mondo di ieri che solleticano la curiosità. È, dunque, il cantore ideale del tempo che fu. Le tv si sono accorte di questo Omero in potenza e non c'è giorno in cui non compaia su una rete o l'altra. Ammonisce, litiga, sdottoreggia.
Il mondo d’oggi è per lui tutto sbagliato. Si dovrebbe - dice - tornare al proporzionale vero, ai deputati legati ai collegi, ai partiti che elaborano strategie di lungo periodo. Ah, la Dc - rimpiange Pomicino davanti ai telespettatori, molti dei quali non sanno di che parla - che fece grande il Paese! Il resto della tiritera la immaginate e non si può nemmeno dargli torto. Se qualcuno lo contraddice si arrabbia, come quei reduci di guerra che non tollerano interruzioni ai loro fluviali racconti.
LA FINE DELL'URSS (E DEL PCI) La cosa più interessante delle varie che ha raccontate è un suo incontro con Carlo De Benedetti, il famoso Ingegnere, proprietario dell'Espresso e di Repubblica. Era il 1991, con l'Urss dissolta e l'Italia scaricata dagli Usa che non sapevano che farsene di un alleato non più cuscinetto tra 2 mondi. L'Ingegnere, dunque, venne da lui, allora ministro del Bilancio di Giulio Andreotti, e gli disse: «Vuole essere il mio ministro?».
Era successo che De Benedetti, assieme a un altro capitalista torinese, l'Avvocato Gianni Agnelli, avevano deciso un colpo di Stato: spazzare la Dc per via giudiziaria (Mani pulite) e consegnare il potere ai comunisti che, orfani di Mosca, sarebbero stati dei lacchè ai loro ordini. Paolino non riferisce la risposta letterale che dette al magnate nel dirgli no. Ciò che gli preme è consegnarci uno scenario complottistico sulla fine della prima repubblica, in contrasto con la vulgata per cui tutto nasceva dalla corruttela politica.
Questo è il Pomicino di oggi, che noi studiosi delle sue gesta consideriamo la sua quarta vita: un uomo che passa il tempo affabulando, tra riflessione, fantasia e autogiustificazione. Accennerò subito alle sue altre tre esistenze. Va detto però prima che, per averne tante, ha dovuto lottare contro un cuore matto.
Paolino è un ex cardiopatico sopravvissuto a tre infarti e altrettante estreme unzioni. A 45 anni, gli furono inseriti quattro bypass. A 57, altri due. Finché, nel 2007, gli è stato trapiantato un cuore nuovo. Si sa che è di un donatore vicentino. Quando uscì dal tunnel aveva 67 anni e fece questo commento: «Gli altri si fanno il lifting, io mi cambio gli organi».
LA VISITA DI DI PIETRO Durante una di queste degenze, convinto che stesse per morire, andò a trovarlo Antonio Di Pietro, che da pm lo aveva sottoposto a interrogatori feroci. Totò si lasciò andare e disse all'infermo: «Ma lo sai che ho sempre votato Dc?». Tempo dopo, narrando l'episodio, Pomicino chiosò: «Si confidò, sicuro che non avrei potuto raccontarlo». Per dire di quanti veleni sono fatte anche certe visite d'ospedale.
Con la guarigione, Paolino ha trovato la voglia di risposarsi. È convolato a nuove nozze quattro anni fa, a 74 anni. La moglie, Lucia Marotta, di cinque lustri più giovane, è una bella signora che, con i tacchi, è circa il doppio del marito. Lei lo chiama il mio «bell'ometto» e si sono conosciuti tramite la figlia di primo letto di Pomicino, che era sua amica. In precedenza, il Nostro era accasato con una napoletana che, «dopo un' incompatibilità antica, durata 33 anni (testuali parole di lui, ndr)», si è allontanata stressata dai troppi guai giudiziari che, come vedremo, colpirono il marito.
Nato tra un fratello e l’altro dei sei che ha avuti, Paolino crebbe a Napoli in una famiglia benestante. Ognuno dei germani aveva idee politiche diverse dagli altri ma quasi tutti, ahimè, la stessa debolezza cardiaca. Il caso più doloroso fu quello di Bruno Cirino, questo il nome d' arte, allievo di Eduardo De Filippo e noto attore. Era un acceso comunista e morì d' infarto negli anni Ottanta, quarantaquattrenne, durante una tournée. Il nostro Pomicino, invece, divenne medico e quotato neurochirurgo dell'ospedale Cardarelli. Questa fu la sua prima esistenza, durata 34 anni.
DAL CARDARELLI AL DIVO GIULIO Nel 1974, incontrò Giulio Andreotti che dette inizio alla seconda. Il divo Giulio cercava un alter ego a Napoli da contrapporre ai due ras locali, Antonio Gava e l'irpino De Mita. Lo trovò in Paolino che nel 1976 esordì a Montecitorio e vi restò per 5 legislature di fila. Negli anni Ottanta, era l'emergente dc per antonomasia. Fu presidente della commissione Bilancio con le mani in pasta in tutte transazioni finanziarie della Repubblica. A cavallo tra '80 e '90, fu ministro del Bilancio di Andreotti.
In precedenza, era stato a capo della Funzione pubblica (governo De Mita). Da quel seggio, per placare la Pa inquieta, concesse un aumento di stipendi da fare saltare l'Erario. Zittì le polemiche dicendo: «Ora governeremo tranquilli». Erano i bei tempi in cui ci stampavamo il denaro in casa.
CIRO DI BABILONIA Lui viveva sull' Appia antica, in una villa da 5,5 milioni (di lire) di affitto al mese. Per le nozze della figlia, Cirino, prendendosi per Ciro di Babilonia, imbandì un banchetto per 500 invitati, tra cui l'ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, quello in carica Oscar Luigi Scalfaro, il futuro, Carlo Azeglio Ciampi. A chi gli chiedeva dove attingesse cotanto burigozzo, rispondeva: «Vai a Napoli e guarda i tombini».
Infatti su molti, è inciso il nome della fonderia «Pomicino». Sottintendeva che era ricco di famiglia, anche se poi la sua parentela col tombino non è mai stata accertata. Questa, lunga 20 anni, fu la fase in cui dette il meglio di sé, dimostrandosi abile politico ma incline allo scialo di raccomandazioni e pubblico danaro.
Il terzo periodo, quello nero, coincise con l'offensiva giudiziaria di Mani pulite. Fu (pare) il suo già ospite, Scalfaro, a non volerlo nel governo di Giuliano Amato (1992-1993) che seguì a quello di Andreotti di cui era ministro. Caduto in disgrazia, la magistratura lo azzannò. Subì 42 processi. Ne uscì con 40 assoluzioni, a disdoro di una giustizia senza freni, e 2 condanne. La prima a 1 anno e 8 mesi per avere preso da Enimont 5 miliardi girati alla Dc; l'altra a 2 mesi, per fondi neri Eni. A Poggioreale, restò solo 17 giorni. Poi, dati i quattro by pass dell' epoca, di cui uno occluso, fu sistemato ai domiciliari.
IL MIO NOME È GERONIMO Calmate le acque, reagì al declino salendo in groppa a Silvio Berlusconi. Nel 2006 riuscì a diventare per la sesta volta deputato. Il che ha portato a 9.363 euro la sua attuale pensione. Divenne pure editorialista del giornale di famiglia, firmandosi Geronimo, e autore Mondadori. Ma i due, troppo galletti entrambi, non erano fatti per intendersi. Quando il Cav lo fece eleggere, Paolino si sforzò di dire: «È una grande energia solitaria che ha puntellato la nostra democrazia». Anni dopo, ormai accantonato, fu più schietto: «Berlusconi è il veleno della politica italiana». Oggi, pubblica i libri con Urbano Cairo.