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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Se questa è arte. La mostra di un pittore iperrealista fa litigare Bonami e Sgarbi

Che ne è dell’opera d’arte nell’epoca in cui le tecniche della sua producibilità (e riproducibilità) l’hanno fatalmente privata dell’«aura», come faceva notare Walter Benjamin nel celebre saggio scritto alla fine degli Anni Trenta? L’abilità manuale conserva un valore o è fine a sé stessa? Si può ancora dipingere, dopo che Lucio Fontana, con i suoi tagli, ha proclamato l’impossibilità di continuare a farlo? Sono alcuni degli interrogativi sollecitati da una polemica divampata in questi giorni intorno all’opera di Luciano Ventrone, un pittore iperrealista di stupefacente abilità manuale, capace di riprodurre con i suoi olii un cesto di frutta con più esattezza di Caravaggio o un nudo femminile indistinguibile da una fotografia. 
E proprio da un nudo (di schiena) esposto in una sua mostra dal titolo «Meraviglia ed Estasi», in corso fino al 28 ottobre presso la chiesa di San Francesco a Gualdo Tadino e censurato da Facebook, è partita la disputa. Francesco Bonami, in un intervento su Dagospia, ha censurato la censura ma, pur riconoscendo «l’eccezionale abilità pittorica» di Ventrone, l’ha liquidata come sostanzialmente inutile, una forma di «pornografia artistica». Gli ha risposto Vittorio Sgarbi co-curatore della rassegna, sostenendo che «l’unico scandalo è trovarsi davanti a un pittore che sa dipingere (…). Le persone sono attratte dalla bellezza e dalla capacità di riprodurre la realtà che questo artista racconta». Posizioni antitetiche, che sottendono questioni cruciali sullo statuto dell’arte oggi. Abbiamo chiesto ai due critici di sviluppare qui le loro tesi.



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L’ACCUSA – DI FRANCESCO BONAMI –
Della bellezza nell’arte, a differenza della libertà nella vita, si può anche fare a meno. Anzi, se l’arte non avesse a volte abbandonato l’idea di bellezza, non sarebbe riuscita a dire al mondo tante cose importanti che invece è riuscita a dire proprio sfidando il mito del bello. Questo non significa che un artista non possa considerare la bellezza o la perfezione strumenti per dire cose piene di significato. Ma perseguire la perfezione estetica fine a sé stessa è a mio parere inutile sia all’arte sia alla vita. Tanto quanto in un’epoca con immense possibilità tecnologiche inseguire il mito della manualità a tutti i costi come se il «fatto in casa» o il «fatto a mano» fossero garanzia assoluta di qualità.
Un’opera d’arte non è un’automobile che non dovrebbe rompersi. L’arte può permettersi di essere imperfetta e pure sbagliata. Imperfezione e sbagli sono alla base della nostra umanità e l’arte oggi deve parlare a noi esseri umani non come accadeva un tempo a Dio. Non è una questione personale né gratuita polemica sottolineare che chi è capace di dipingere un cesto di frutta meglio di Caravaggio non produce necessariamente un’opera d’arte. Quando Vittorio Sgarbi afferma che il pittore Ventrone con la sua maestria pittorica crea una bellezza che racconta la realtà commette un errore. Ventrone riproduce, non racconta la realtà. Non crea una storia e non spinge lo spettatore oltre ciò che vede. I suoi quadri meravigliano come meraviglia il trucco di un prestigiatore. Ma all’arte non va chiesto come è fatta, va chiesto cosa sta tentando di dirci. Se un quadro o una persona vogliono solo informarci di quanto siano belli, quasi sicuramente non saranno interessanti e ci annoieranno. 
Lo sforzo di Ventrone è encomiabile ma sterile, come qualcuno che con le mani scavasse senza motivo una fossa di dieci metri avendo una ruspa a disposizione. Per fare quello che fa Ventrone esiste da tempo una ruspa che si chiama fotografia, mezzo non meno complicato da usare della pittura se chi la usa vuol davvero raccontare qualcosa. Detto questo, importante è far capire allo spettatore di essere assolutamente libero di ammirare i dipinti di Ventrone come Ventrone di farli, ma è altrettanto importante ricordargli che la perfetta riproduzione fatta a mano di una cosa o di una persona non è necessariamente una bella opera d’arte.
La perfetta esecuzione del Concerto n. 21 di Mozart non fa diventare il pianista un Mozart. L’opera d’arte consiste nella musica scritta dal compositore e rimane tale anche se il compositore non è in grado di suonarla. La grande tela Guernica di Picasso è un capolavoro, non particolarmente bello, dipinto da Picasso. Rimarrebbe ugualmente un capolavoro anche se lo avessero dipinto altre persone sotto la guida di Picasso. Il quadro racconta la tragedia della guerra meglio di qualsiasi dipinto iperrealista. Arte è saper comunicare anche con una sola pennellata il sapore della mela, non dipingerne la buccia come se fosse vera. La bellezza è molto spesso qualcosa di nascosto, il vero godimento sta nello scoprirla. L’ossessione del sapere e del saper fare impedisce alla fine di saper dire.


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LA DIFESA - DI VITTORIO SGARBI –
Per capire bene l’aporia di Bonami, bisogna retrocedere a un momento nel quale i suoi strumenti di comprensione si riducono fino ad annullarsi, lasciandolo ai margini di un deserto di cui non conosce l’estensione, e che è più ampio dello schema elementare antico/moderno.
Capisco che sia preso dal panico e reagisca in modo scomposto. Il difetto di prospettiva storica non lo fa riflettere sulla natura dell’arte che, da sempre, si ripiega su sé stessa per trovare nuove energie. Da qui deriva l’essenza stessa del Ri-nascimento e del Neo-classico. Così come, più tardi, del Post-moderno.
Nella sua valutazione della Storia c’è un’equivoca idea di progresso, secondo la quale l’esperienza artistica avanza producendo opere sempre nuove, seguendo un fantomatico «spirito dei tempi». Uno schema che gli impedirebbe di comprendere, fra gli altri, Canova o Ingres (anche se forse non gliene importa molto). E che trascura di considerare che, nel lessico degli storici e nella periodizzazione dei movimenti artistici, quando si parla di «primitivi» si intendono autori come Giotto, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Sassetta. «Primitivi» artisti così sofisticati? Come si spiega? È semplice. Perché vengono prima. Lo aveva bene interpretato Gino De Dominicis, che considerava noi i vecchi rispetto a quelli venuti prima di noi, e dunque più giovani. 
Capisco che Bonami sarà sul punto di perdere la testa, ma gli voglio dire che, in arte, non c’è un avanti e un indietro, un moto progressivo e una stasi regressiva, perché l’arte non ha regole, nonostante alcuni ingegni come Masaccio e Caravaggio la spingano molto avanti, con una terapia intensiva. Per uno che avanza, cento restano indietro, e hanno pure diritto di esistenza, senza essere geni rivoluzionari. Così, a fianco di Masaccio, c’è Masolino, più delicato ma non retrogrado. E, dopo Caravaggio, c’è Sassoferrato, che ritorna al Bello ideale di Raffaello, ma non torna indietro: procede, suo malgrado.
In arte non ci sono solo gli innovatori: altrimenti Angelo Morbelli o Giovanni Boldini non sarebbero artisti perché percorrono una strada diversa da quella dei futuristi. Così Antonio Donghi rispetto a Morandi. Ma anche Morandi rispetto a Balla. L’arte non ha una sola direzione, né un punto di arrivo. Non ci spiegheremmo, per stare in America, Edward Hopper o Grant Wood, artisti di incommensurabile modernità, nonostante Pollock. O, per tornare in Europa, Balthus e Lucian Freud, dopo Mondrian. 
Non tutti gli artisti sono rivoluzionari o geni; e certamente Luciano Ventrone, come Andrew Wyeth, non pretende di cambiare il corso della storia dell’arte, ma semplicemente di avere quel diritto di esistenza che Bonami gli nega, nel suo fanatismo modernista che non consente spazio a chi non si iscrive al corso di sovversione, interpretando forme e visioni nuove. Perché è vero che, in arte, «dire è trasgredire», ma questo non impedisce che qualcuno continui a ripetere parole già dette, in modo originale o personale. 
Bonami si deve rassegnare: l’arte non è come la vuole lui, ma come gli artisti, a loro modo, la interpretano. Il critico deve prenderne atto.