il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2018
Melania, la First Lady riluttante
L’etichetta più calzante che le hanno dato finora, è quella della “first lady riluttante”. Eppure Melania Trump, nata con il cognome di Knavs 48 anni fa in Slovenia, resta uno dei misteri più bizzarri che abbiano mai abitato la Casa Bianca.
Gli enigmi sono perlomeno due, e non di modesta portata: il primo riguarda l’impenetrabile personalità di Melania tout court, ovvero di che cosa si occupi prevalentemente il suo cervello dietro l’alterità che interpreta come un copione in ogni uscita pubblica a cui si conceda, allorché nemmeno si preoccupa di mascherare il feeling da perfetta estranea che trasuda dalla sua elegante silhouette.
Il secondo segreto di Melania è il suo posizionamento nei confronti del marito, dal momento in cui costui è riuscito nell’improbabile impresa alla quale solo lei e pochi altri fanatici all’inizio attribuivano delle chance, ovvero la conquista della presidenza degli Stati Uniti a opera di un imprenditore dalla reputazione discutibile e dai modi impresentabili. Insomma: chi è e che fa?
Questioni di non poco peso, se investono la figura femminile più in vista d’America, colei che ha raccolto l’eredità di un eccellente e al tempo stesso terrificante modello di ruolo come Michelle Obama, perfetto esemplare di donna contemporanea e dominante. Del resto, per coloro che di mestiere fanno i “first ladies’ watchers”, ovvero gli osservatori dei bioritmi della Prima Consorte, non sono tempi facili.
I bioritmi di Melania appaiono per lo più piatti: non c’è, non si sa dove sia, non partecipa, declina l’invito, opta per una visita strettamente personale, quando finalmente si sottomette a presenziare al fianco del marito, lo fa con quella sottilissima ma tenace vena di polemica, una specie astio silenziosamente consumato, che assume i connotati del suo perenne distacco, della mano sottratta alla stretta del coniuge, della risposta sussurrata che ne gela la maschera arancione, al mezzo metro di evidente lontananza, che rende sempre chiara la differenza, la non-appartenenza, perfino una non-adesione che, se non potrà mai essere dichiarata, in questo modo è perlomeno descritta.
Poco alla volta, per chi abbia voglia e tempo di seguire la gelida parabola che descrive il tempo pubblico di Melania Trump, qualcosa si comincia a intuire e si direbbe che l’etichetta a cui vada iscritto il tutto è quella di un difficile, sofferto, ma in un certo senso machiavellico “equilibrio”.
Melania, probabilmente per sua stessa indole, è concentrata nel condurre un gioco difficile: affronta con diligenza la parte che deve sostenere, ma non va mai oltre il dovuto, l’atteso, il previsto. Diventa una affascinante lacuna vivente. Che ovviamente provoca sconcerto, curiosità, interrogativi.
Non partecipa alla campagna elettorale del marito perché, pur conoscendone le doti di sfondamento, ritiene sconsigliabile la sua presa dello Studio Ovale. Non si trasferisce alla Casa Bianca nei tempi prescritti, perché sia i doveri coniugali, che quelli di rappresentanza, che i richiami dell’ambizione, non superano nella sua visione il sottile piacere dell’inscenare una crudele assenza, assaporando il gusto della scusa più solida del mondo: resto a New York per consentire al mio piccolo Barron, appena dodicenne, di concludere l’anno scolastico senza disagi. Un piccolo capolavoro, nella messaggistica per simboli. Del resto, nella nuova casa del presidente circola almeno una figura che non vede l’ora di farle ombra e di sottolineare la sua inadeguatezza al ruolo: Ivanka, l’ambiziosa first daughter, a caccia di riflettori, di opportunità, di un futuro da effettiva superstar.
Melania però declina la sfida, si apparta, si disinteressa al confronto e anche questa è una mossa di una raffinatezza piuttosto squisita, che chiama in causa altre signore della Casa Bianca che scelsero l’ombra alla luce, salvo poi, poco alla volta, rivelare caratterialità e intenzioni tutt’altro che sbiadite. Una per tutte: Laura Bush. Non sarà un caso che proprio in questi giorni la ex-first lady e quella attualmente in carica, siano salite alla ribalta con una posizione comune. La questione è quella rovente degli immigrati clandestini dal Messico e la dolente rappresentazione delle famiglie divise allorché vengono intercettate, con migliaia di bambini, anche piccolissimi, staccati senza misericordia dal contatto coi familiari.
Davanti al racconto delle gabbie piene di cuccioli, di bottigliette d’acqua e di sacchetti di patatine, Laura e Melania sono insorte insieme, compostamente ma con l’insopprimibile vibrazione materna, che diventa più forte di una cannonata: non si fa così, hanno detto, un paese civile non arriva a questo, la questione è importante, ma veder strappare un bambino ai genitori spezza il cuore di qualsiasi donna. Anche il loro. Che dunque lo dicono. E lo dice soprattutto la compagna di colui che governa la grande retata e che la sta usando come fattore di pressione per finalità squisitamente politiche.
L’enigmatica Melania, attraverso i suoi portavoce, esprime il bisogno di parlare: non è poco, perché nessuno l’aveva interrogata al riguardo, non erano attese sue prese di posizione e anzi, vista la malinconia in cui langue “Be Best”, la sua unica iniziativa ufficiale da first lady – una crociata contro il cyberbullismo a cui forse non crede granché nemmeno lei – compie un gesto che non accentua e ribadisce l’imprevedibilità del personaggio. Che ci tiene a sottolineare l’esistenza di quel margine di libertà a cui non rinuncia, al quali anzi è saldamente ancorata: sono qui, sembra dire, cammino per i corridoi di questa vecchia casa estranea, mentre fluttuano gli echi dell’ultimo scandalo che subissa mio marito, si tratti di una nuova pornostar o di un suo gesto clamorosamente ingiurioso appena commesso in un’uscita pubblica, e vivo tutto ciò come in una bolla. Però resisto, perché l’orgoglio per me è importante, perché voglio vedere cosa ci sarà dopo, voglio crescere bene mio figlio e periodicamente mi va di ricordare a tutti che non sono un bell’oggetto di arredamento. Sono una donna con una storia piuttosto straordinaria, capace di convivere coi compromessi, le ambizioni e i silenzi. Ma a cui, il giorno che il desiderio è insopprimibile, piace assumere qualche serio rischio. Parlare, ad esempio. Sentendo rimbombare le mie parole per tutto il pianeta. Perfino nelle sacre stanze del Presidente. Mica per caso sono un’ex-modella slovena che ha percorso una lunghissima strada. Imparando le regole del gioco e come controllarle. Anche io. MeToo.