Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Prevenuti preventivi

Fa notizia il sondaggio del TgLa7 sul sorpasso della Lega sui 5Stelle, che farebbero bene a rifletterci: non perché i sondaggi debbano orientare la politica, ma perché i loro elettori sono molto più esigenti degli altri. Sia sulla coerenza (dal “mai con la Lega” al governo con la Lega). Sia sulla questione morale: infatti sono gli unici a indignarsi per lo scandalo Parnasi (che ha pagato politici e fondazioni di quasi tutti i parti, tranne quelli del M5S, ma è bastato l’arresto del superconsulente Lanzalone per far scattare l’allarme, peraltro sacrosanto). Per recuperare il terreno perduto non basterà dunque rubare la scena a Salvini (mission impossible, al momento, anche se alla lunga due-tre sparate al giorno potrebbero stufare): servono segnali concreti e immediati di cambiamento sui temi cari alla base: lavoro, diseguaglianze, legalità, trasparenza, casta.
Ma il sondaggio contiene anche un elemento interessante che non ha fatto notizia: 5Stelle e Lega insieme, premiati il 4 marzo dal 50% di votanti, oggi sfiorano il 60%. Quasi la stessa percentuale di consensi (57% e rotti) che il sondaggio di Ilvo Diamanti per Repubblica accredita al governo Conte. Eppure, a parte il no all’Aquarius, molti annunci, troppe sparate di ministri incontinenti e tre vertici internazionali del neopremier Conte (G7, Parigi e Berlino), il governo in 20 giorni non ha ancora fatto nulla. Si dirà: è proprio per questo. Quando poi, dall’iperuranio delle promesse, si atterrerà sulla dura realtà dei fatti e dei conti, la luna di miele finirà. Può darsi. Ma il vasto consenso dell’esecutivo gialloverde dipende anche da altri fattori. Anzitutto dalle aspettative terrificanti che, nell’establishment nazionale e internazionale e sui media sottostanti, ne avevano accompagnato la gestazione e la nascita. Con un fastidioso retrogusto di guerra preventiva, prevenuta e doppiopesista.
Ve lo vedete Conte? Appena indicato da Di Maio e avallato da Salvini, il professore foggiano fu dipinto come un utile idiota, un taroccatore di curriculum, un mezzo impostore, un re travicello incompetente e buono a nulla che ci avrebbe coperti di ridicolo nel mondo: “Ve lo immaginate – era il ritornello – nei vertici con Trump, Macron e Merkel?”. Il caso ha voluto che li incontrasse subito tutti e tre e ops! Niente corna, cucù, smargiassate, gaffe, frasi sessiste alle signore, battutacce, figuracce, selfie, give me five, mani in tasca, discorsi maccheronici in lingue sconosciute. Parla l’inglese, un po’ meno il francese, sa qualcosa di tedesco, ma soprattutto conosce l’italiano. Sta al posto suo.
Dice poco, ma quel poco lo dice benino. Non sarà un granché, ma viste le profezie di sventura (e i precedenti), è grasso che cola.
Il contratto, orrore! Quando M5S e Lega firmarono il contratto alla tedesca (seppur molto meno dettagliato di quello Cdu-Spd), fu scandalo generale. Ma come, un contratto?! Non si usa, non si fa, è incostituzionale, dove andremo a finire. Detto dagli stessi che non fecero un plissè quando Renzi e B. (l’uno teoricamente al governo e l’altro teoricamente all’opposizione) firmarono un patto segreto al Nazareno per riformare la Costituzione, la legge elettorale e chissà cos’altro. Il contratto gialloverde invece è pubblico, dunque brutto. Anzi, invece di commentare quello firmato da Di Maio e Salvini, si continua ad analizzare la bozza provvisoria e apocrifa uscita sull’Huffington Post. Ora si scopre che il contratto vero è utile: per zittire Fontana e Salvini che delirano di coppie gay, legge 194 e censimenti razziali sui Rom (“non sono nel contratto”).
Savona che paura! Ricordate Paolo Savona? È il diabolico professore che, se fosse diventato ministro dell’Economia, ci avrebbe portati ipso facto fuori dall’euro, bruciando tutti i nostri sudati risparmi. Così assicurava Mattarella, che a causa sua rispedì a casa Conte rimpiazzandolo con Cottarelli per un paio di minuti, spalleggiato da trombette e tromboni a mezzo stampa. Ora Savona è ministro degli Affari europei: il trampolino ideale per farsi esplodere sull’Ue e sull’euro. Ma il satanico prof, dispettoso com’è, non ne ha alcuna intenzione e anzi le sue dichiarazioni paiono piuttosto rassicuranti. Se gliel’avessero chiesto prima, anziché fargli il processo alle intenzioni, avremmo risparmiato tempo, tensioni e qualche punto di spread.
Brrr lo spread! E lo spread impazzito? E le Borse in picchiata? E la bocciatura dei mercati? E il rischio Grecia dietro l’angolo? E la Troika in marcia al Brennero? Era tutta colpa del governo Conte e della maggioranza populista. Oggi non se ne parla più, perché è tornata la calma: sarà merito del governo Conte e della maggioranza populista? O forse il casino dipendeva dall’incertezza sul governo, più che dai suoi ministri?
Santa Spagna. Un anno fa il ministro dell’Interno Minniti (Pd) dichiarava: “Sarei orgoglioso se una e una soltanto fra le navi che operano nel Mediterraneo, anziché in Italia, andasse in un altro porto europeo” (28.6.2017). E voleva chiudere i porti alle navi delle Ong, bloccato all’ultimo dal collega Delrio. Applausi da giornaloni, Gentiloni, Mattarella, Vaticano e Renzi al ministro di centrosinistra che scopriva la legalità e le cantava all’Europa indifferente. Ora, col governo Conte, la sua speranza che una nave sbarchi in un porto non italiano (Valencia) s’è avverata. Cambiando almeno il clima nell’Ue (per i trattati si vedrà). Non servono applausi, che anzi sarebbero fuori luogo, trattandosi di persone costrette a vagare sulle acque agitate del Mediterraneo. Ma i titoli “Grazie Spagna” (Repubblica) e “Spagnoli brava gente” (La Stampa) per un Paese che spara sui migranti, non ne fa entrare nessuno, poi ne prende 500 contro le centinaia di migliaia dell’Italia, fanno specie. Anzi, pena.
Rai, arrivano i mostri. “I 5Stelle vogliono prendersi la Rai” (Giornale), “Le mire dei Cinquestelle su Rai3” (Repubblica). La Rai è tutta nelle mani dei renziani, che hanno occupato – senz’aver mai avuto la maggioranza dei votanti – le tre reti e i tre tg. E fatto cacciare, nel silenzio generale, Gabanelli, Giannini e Giletti. Noi speriamo che i 5Stelle (sulla Lega contiamo poco) tengano fede al contratto ed evitino di occupare non dico le tre reti e i tre tg, ma pure uno strapuntino. E mettano gente brava e senza tessere, in attesa di riformare la Rai perché mai più nessuno sia nominato da un partito. Ma chi avallò la berlusconizzazione e/o la renzizzazione dovrebbe tacere: qualunque cosa facciano, i gialloverdi non potranno eguagliare i renzusconiani.
Tutti ladri. Luca Parnasi ha pagato politici Pd e FI (arrestati perché erano fondi illeciti), e due fondazioni del Pd e della Lega (nessun arresto perché erano fondi leciti, anche se nascosti: tant’è che sono emersi dalle intercettazioni, non dai bilanci). Nessun politico 5Stelle. Vi pare possibile leggere decine di titoloni sui soldi ai 5Stelle (inesistenti), sul “sistema Raggi” (non indagata, dunque deve dimettersi) e sui fondi alla Lega (leciti ma non trasparenti), e nessuno sui fondi al Pd e a Sala (leciti ma non trasparenti)? Il massimo sforzo di Repubblica sul tema è un sommarietto sotto il titolone “L’opa di Parnasi sul governo M5S-Lega: ‘Al Carroccio 200mila’”). Questo: “E spuntano 50mila euro di finanziamento lecito per Sala”. A dire il vero è lecito anche quello alla Lega. Ma il Pd è come Dash: lava più bianco. E i suoi soldi, alla peggio, “spuntano”.
C’è pm e pm. Ieri il Csm, in scadenza fra 19 giorni, ha proseguito imperterrito la sua guerra al pm Woodcock, reo di avere scoperchiato lo scandalo Consip, disturbando i manovratori renziani. Lo accusano di non aver indagato per tempo Vannoni e di avergli ricordato il dovere dei testi di dire la verità. Invece per i pm di Roma che non indagarono Renzi e De Benedetti per l’insider trading sul decreto banche, ma in compenso sono occhiutissimi su tutto quanto accade in Campidoglio, nemmeno un buffetto. Quando vi dicono che “sono tutti uguali”, fatevi una risata.