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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Nikita Michalkov: «Iniesta è bellezza ma il calcio premia i campioni narcisi»

«Per me fare sport è come lavarsi i denti. Nuoto, corro, gioco a tennis. Ero bravo anche a basket». Alle pareti foto di lui con Jeremy Irons, Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni e Gerard Depardieu. E anche il ritratto di un maestro, Konstantin Stanislavskij. Nel suo Tritre studio Nikita Michalkov, 72 anni, famiglia intellettuale, cineasta di fama mondiale, premio Oscar nel ’95, si siede sulla sedia da regista e parla della Russia, in campo e fuori, del calcio, dei Mondiali.

È stato allo stadio a vedere la Russia?
«No. Ho visto le partite a casa con degli amici. Abbiamo tifato, ma più che altro bevuto. E per fortuna la Russia ha vinto, altrimenti avremmo bevuto ancora di più. Eravamo un po’ scettici sulla nostra squadra, invece si è comportata bene. E mi sembra che negli stadi si respiri una bella atmosfera, non solo a Mosca, ma in tutte le città coinvolte. Ci hanno dipinti come ostici, chiusi, antipatici, e ora i turisti si accorgono che il carattere russo non è affatto così: siamo amichevoli e ospitali. E non perché ce lo ordina qualcuno».
Lei per chi tifa, Russia a parte?
«Per la Spagna, mi piacciono il paese e la lingua. Forse perché da piccolo ho avuto un precettore spagnolo. E poi perché hanno un giocatore come Don Andrés Iniesta, che è l’opposto di Messi e di Ronaldo e di dove va il calcio oggi».
Verso l’ipertrofia dell’ego?
«Sì, a me piace chi in campo guarda oltre se stesso, chi si accorge degli altri, chi li rende partecipi, chi gioca per la squadra. La bellezza sta nel collettivo, non nel sovrastarlo.
Iniesta non è al servizio del proprio specchio, ma del gioco. E questo me lo rende ammirevole rispetto a Cristiano Ronaldo che ormai non separa l’uomo dal calciatore. Sono un tutt’uno, anzi il secondo ha prevalso sul primo.
Capisco l’autostima, ma quando uno è bravo per quanto guadagna, per i selfie, e per gli oooh che suscita ogni rinnovo di contratto significa che i parametri di questa società sono altri. Ci sono giocatori che danno l’anima per tutta la partita, ma escono dal campo nell’oblio».
L’Urss ha vinto il Pallone d’oro con Jascin (’63), Blochin (’75) e Belanov (’86), gli ultimi due ucraini. Poi il buio.
«Da quando l’Urss si è smembrata abbiamo perso un certo carattere etnico, ogni sport ha bisogno di una sua fisiologia ed è chiaro che non abbiamo piùle diversità e la supremazia di prima. Sono stato a Rio sulla spiaggia di Copacabana, tutti i bambini giocavano a pallone sulla sabbia, ho visto un ragazzo centrare dieci volte un foglio di giornale che l’allenatore teneva sulla porta. Vogliamo parlare dei corridori africani che mangiano chilometri? Non si può riprodurre tutto, nemmeno nell’era della globalizzazione. Gli afroamericani sono sublimi a cantare i gospel, gli italiani hanno la lirica, se sostituisci gli uni agli altri non hai lo stesso risultato. È vero che il calcio oggi si mischia, ma poi quando si ritorna all’identità nazionale le cose cambiano. Non sei più nel Real o nel Manchester, sei nella tradizione del tuo paese».
Suo padre Sergej, poeta, ha scritto tre volte l’inno russo.
«Sì. La prima volta nel ’43 glielo chiese Stalin, nel ’77 Breznev, nel 2000 quando aveva 87 anni lo modificò per Putin».
Le è dispiaciuto non sentirlo suonare nelle ultime due Olimpiadi?
«Sì. L’ho trovato ingiusto. Le atlete americane hanno muscoli artificiali che non possono essere il risultato dell’allenamento. E se quelle atlete a Rio perdono il testimone nella staffetta, ottengono il permesso di ricorrere la gara. Due pesi, due misure. Loro buoni, noi cattivi.
Ogni volta che c’è da giudicare la Russia avanza il pregiudizio e mai la presunzione di innocenza. Non c’è obiettività, siamo per forza tutti colpevoli e dopati».
In Usa si fanno molti film sullo sport, in Italia no.
«Non c’è da meravigliarsi. In America lo sport è un’ideologia che deve nutrire il popolo già dall’infanzia. Vinci, comandi, sei più bravo. L’America è aggressiva, non si vergogna a sentirsi superiore, l’Italia invece sì, è più timida».
E fuori da questo mondiale.
«Francamente non mi pare un grande momento per l’Italia, c’è mediocrità in tutti i settori, i livelli si sono abbassati. Se la posso buttare lì, in maniera figurativa, giocavate meglio quando c’era la lira al posto dell’euro. Io per l’Europa vedo un futuro complicato. E poi è cambiato il quadro: l’uomo sta perdendo il suo mondo interiore. Una volta gli scrittori erano importanti perché avevano idee che esprimevano con fatica, ogni parola era un travaglio, una ricerca nell’abisso umano. Oggi ci sono i blogger che con mezza riga fanno subito galleggiare il loro niente, Dante non avrebbe mai twittato la sua Divina Commedia»
Arte e sport sono mondi che possono frequentarsi?
«Se c’è il talento sì. Ali sul ring era un capolavoro, un pezzo d’arte.
Tyson no, sfruttava solo il suo potenziale fisico».
Anche il mondo sfrutta lo sport per far fare pace. O è solo una favola?
«In Corea del sud per le Olimpiadi un paese diviso in due si è parlato, a Mosca per i Mondiali due paesi avversari, come Russia e Arabia Saudita, si sono seduti accanto in tribuna.
Bisogna cogliere ogni occasione per rendere più pacifici i rapporti, bene se lo sport è una favola che aiuta, ma se poi la Russia vince 5-0 vuol dire che la diplomazia finisce lì».
Un calciatore azzurro molto amato?
«Roberto Baggio, per l’intelligenza. Dentro e dietro aveva un pensiero».