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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Courtney Love: «Vi racconterò la mia verità su Weinstein»

Ha la voce di una vecchia diva di Hollywood, il risultato di una vita borderline, troppe sigarette, troppo alcol, troppi abusi. Si fa fatica, ascoltandola al telefono, a immaginare il viso ancora bello di Courtney Love appena accarezzato dalla chirurgia estetica, i capelli biondi, le labbra carnose, il sorriso beffardo.

Si fa ancor più fatica a raffigurarsi la ragazza libera e selvaggia che i fan di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana che la sposò nel 1992 e la lasciò vedova due anni dopo, bollarono come la Yoko Ono del grunge. Da rockstar a diva di Hollywood: Courtney si è agevolmente riciclata nella Mecca del cinema con il film Larry Flynt diretto nel 1996 da Milos Forman.
È tutt’ora oberata di impegni: ha completato la produzione del film di James Franco, The long home, dal romanzo di William Gay; ha partecipato alla serie Sons of anarchy; sarà nel cast del biopic su JT Leroy. Non prima di aver rifatto un tuffo nella musica con una partecipazione con i Rockin’1000 il 21 luglio a Firenze nell’ambito di That’s Live, la manifestazione patrocinata dalla Only the Brave Foundation in cui il maestro Peppe Vessicchio dirigerà 1500 musicisti da tutto il mondo (la versione di Learn to fly dei Foo Fighters nel 2015 ha totalizzato oltre 44 milioni di visualizzazioni su YouTube). «Mi piace l’Italia, la gente, il cibo, fantastico», esordisce Courtney da Los Angeles (un’intervista minuziosamente concertata; banditi riferimenti a Dave Grohl, Kurt Cobain e alla figlia venticinquenne Frances Bean Cobain). L’Italia è stata anche teatro di avvenimenti drammatici per lei. «Alcuni terribili, come quella volta che stavo andando a una sfilata di Versace e Gianni fu assassinato a Miami mentre io ero ancora in volo. L’aereo atterrò a Roma, non ero a conoscenza di quel che era successo e mi ritrovai al centro di una situazione felliniana. Nella stanza d’albergo trovai un bouquet di fiori inviato da Donatella (Versace); poi qualcuno chiamò dalla reception, era Valentino in lacrime che mi dava la notizia. Questa è solo una delle due brutte esperienze che ho avuto in Italia, dell’altra (l’overdose di Kurt Cobain all’Excelsior di Roma e il ricovero al Policlinico un mese prima del suicidio, ndr) non voglio parlare».
Canterà con 1500 musicisti, una bella sfida per una rockeuse.
«Sono un po’ preoccupata, non riesco a immaginare cosa verrà fuori; mi butterò nella mischia, come sempre. Sono molto attratta dallo slogan di Rockin’1000: nessun punteggio, premio, classifica o vincitore. Ma che paura!».
Parte dei proventi andrà alla comunità di San Patrignano, uno dei più grandi centri di recupero per tossicodipendenti.
«I rehab sono importantissimi.
Ne so qualcosa, il problema droga è un’emergenza, senza i centri di riabilitazione milioni di ragazzi sarebbero abbandonati a loro stessi».
Canterà “Celebrity skin”, “Malibu” e “Olympia”, canzoni incise con gli Hole vent’anni fa.
Era difficile gestire una band prevalentemente di donne?
«Tra grunge e indie rock osare era diventata la regola. Quanto alla band era una cosa che avevo voluto con tutte le mie forze, ci avevo provato e riprovato, ci avevo investito tutti i miei soldi e le mie energie, e sinceramente all’inizio non mi aspettavo neanche di arrivare così in alto».
È ancora interessata al rock oppure ormai c’è solo cinema nella sua vita?
«Ogni tanto incido qualcosa, ma ora sono concentrata sulla mia autobiografia, un progetto che m’impegna a tempo pieno.
Rivangare vita e carriera è qualcosa di romantico e malinconico. Sono a buon punto, uscirà nella primavera del 2019 (Ed. Dey Street Books, ndr).
Per il momento ho nove canzoni nel cassetto, ma non sono abbastanza.
Di questi tempi se non hai un disco superlativo meglio star zitti».
C’è qualcosa in particolare che ha urgenza di condividere con i lettori?
«Non sto scrivendo con questa intenzione, piuttosto per mettermi alla prova come narratrice. Sono state scritte e dette molte cose su di me che non corrispondono a verità, quindi voglio fare un racconto onesto e accurato della realtà dei fatti, non una prosa alla Dylan per intenderci. Vorrei far chiarezza su tutta la mitologia che si è creata intorno al mio personaggio. Anche se, non lo nego, la mia è stata una vita… pazza».
Qual è, secondo lei, il più grande equivoco che si è creato intorno a Courtney Love?
«Wow, domanda impegnativa… non saprei. Credo di essere una brava persona, una donna molto spirituale, sono buddhista, medito ogni giorno — andrei fuori di testa se non lo facessi — faccio molta beneficenza; non mi pare che queste caratteristiche siano state mai sottolineate dalla stampa».
Da rockstar a attrice: prima di scritturarla per “Larry Flynt”, Forman le fece mettere nero su bianco che non avrebbe fatto uso di alcol e droghe sul set.
«Quello del cinema è un ambiente in cui bisogna sapersi comportare, io venivo da un mondo senza regole, lì invece ce ne sono milioni; misurare le parole, apparire sempre smart, non ingrassare, frequentare una scuola di recitazione, studiare, entrare e uscire dalla parte… Hollywood è controllo, il rock’n’roll è spontaneità, non hanno niente in comune».
Sicuramente avrà conosciuto Harvey Weinstein; le è mai capitato nulla che assomigli alle brutte esperienze di attrici che hanno denunciato abusi e molestie?
«Certamente, sì (prende tempo, si consulta a bassa voce con qualcuno che è nella stanza), ma scriverò tutto nel mio libro, dovrà aspettare qualche mese per conoscere i dettagli. Incontrai per la prima volta Harvey nel 1997, venne da me urlando come un pazzo, c’era anche il mio ragazzo in casa, racconterò ogni cosa stia certo».
Time’s up e #metoo potranno risolvere il problema delle molestie nello spettacolo?
«C’è bisogno di mettere la parola fine alle molestie ovunque, a Hollywood e negli ambienti di lavoro, nelle relazioni sentimentali e in famiglia, nelle scuole e nelle parrocchie. Ho amiche che hanno avuto esperienze terrificanti e ne sono uscite devastate. A volte questi movimenti si muovono in ritardo e in maniera confusa, ma io sono una femminista, credo nel potere delle donne, anche se a volte mi sento impotente di fronte all’enormità di certe violenze».
Quanto è stato difficile per lei, dopo la morte di Kurt Cobain e con una figlia da crescere, affrontare l’esercito di haters che ancora la perseguitano?
«Faccio fatica a parlarne, perché dopo i primi mesi ho smesso di farci caso, me ne sono completamente fregata. All’epoca era una cosa da ragazzi, da fans, gestibile, oggi gli haters hanno letteralmente presidiato i social, a starci dietro si uscirebbe fuori di testa».