la Repubblica, 20 giugno 2018
Il vero bonus alla cultura
È in atto una furibonda polemica politica a proposito della decisione del nuovo ministro della Cultura, Alberto Bonisoli, di lasciar decadere il bonus da 500 euro per spese culturali (libri, teatro, cinema, musei, eccetera) che il governo Renzi aveva destinato ai diciottenni. Già bloccato dal Consiglio di Stato per difficoltà di rifinanziamento, il provvedimento era stato giudicato «una mancia elettorale» dai detrattori; era comunque riuscito a distribuire quasi trecento milioni di euro (dato ancora da aggiornare) per acquisto, soprattutto, di libri e di musica. Iniezione di quattrini non trascurabile per l’asfittico mercato culturale italiano.
Ora il ministro dice che quei soldi sono spesso finiti in festicciole alcoliche; che ben altra politica è necessaria per convincere i ragazzi a «rinunciare a un paio di scarpe» e destinare quattrini e tempo alla propria educazione; infine, come si confà a ogni ministro che si rispetti, annuncia di volere «aumentare i fondi per la cultura».
Quanto al primo punto, la probabilità che qualche lucignolo abbia rivenduto sottocosto il suo bonus barattando Bach per una Beck’s, o Marquez per una caipirinha, non vale a giudicare le buone intenzioni di quel bonus e men che meno i suoi effetti concreti, che sono certificati dalle casse degli editori, degli esercenti di teatro, eccetera. Si può essere d’accordo, invece, sul secondo punto, considerando il valore aggiunto esorbitante che moltissimi umani (di ogni età) attribuiscono a vestiti, smartphone, accessori firmati, e lo scarso appeal della cultura in questo speciale momento della nostra storia nazionale. Il terzo punto, infine, costringe alla sospensione del giudizio fino a che il ministro, immaginiamo molto presto, vorrà informarci dei modi e dei tempi nei quali avverrà il promesso «aumento dei fondi per la cultura». Per altro mai nominata, forse per eccesso di reverenza, dal presidente del Consiglio Conte nel suo discorso di insediamento. Fin qui, la sola cosa che tocca rilevare è che nella dialettica tra il togliere e il dare, è di un togliere secco secco che stiamo parlando: quello, appunto, del bonus per i diciottenni.
In un governo come questo, comunque, il ministro della Cultura, chiunque egli sia, può contare sul nostro incondizionato appoggio. È perfino sorprendente che ne esista uno, considerata la schiacciante preponderanza di qualunque altro argomento, economico o di ordine pubblico o di politica internazionale, tanto nella campagna elettorale precedente il voto del 4 di marzo quanto in quella in corso, se possibile perfino più accanita e frontale perché deve decidere se saranno i leghisti oppure i cinquestelle, qualora l’alleanza si rompesse, a raccoglierne i cocci: per ora già tutti prenotati da Salvini.
Dove troverà, Bonisoli, un varco anche piccolo non dico per finanziare, ma anche solamente per riuscire a fare inserire nell’ordine del giorno i suoi provvedimenti (molto ma molto migliori, e come dubitarne, di tutti quelli messi in atto dai predecessori, perché Bonisoli è grillino, e come tale palingenetico), non si sa. Tra la cacciata dei rom, il respingimento degli africani, la liberalizzazione dello sparo al ladro, il supporto economico alle famiglie quelle vere, la riduzione drastica delle tasse per i benestanti e l’altrettanto drastica elargizione di Stato ai cittadini in attesa di reddito, dove potrà raccattare, il ministro della Cultura, gli spiccioli necessari per far dimenticare alla gioventù italiana il disdicevole bonus renziano? E da quale pulpito, essendo tutti occupati da predicatori e urlatori, potrà convincere i ragazzi che si può ascoltare un quartetto d’archi anche con un paio di scarpe vecchie? Che la cultura è un pezzo decisivo della dignità umana, tanto quanto lo stomaco pieno, un lavoro decente, i diritti individuali?
Mah. Nel dubbio, manifestiamo a Bonisoli la nostra solidarietà preventiva. Di questi tempi e con questo governo, un ministro della Cultura è un ossimoro vivente. Si faccia coraggio e soprattutto non ascolti gli interventi alla Camera e al Senato degli esponenti della sua maggioranza. Potrebbe demoralizzarsi.