la Repubblica, 20 giugno 2018
Lupi, foche e stambecchi: ritorna l’Italia selvatica
Sono soltanto due esemplari, ma valgono per un promettente ritorno. L’ultimo avvistamento che fa ben sperare sul ripopolamento della fauna selvatica italiana riguarda due foche monache che, attesta l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, dal 2016 in maniera continua hanno usato alcune grotte sommerse e semisommerse nelle Egadi per riposarsi nel periodo invernale. Le fototrappole hanno ripreso più volte due femmine con molte cicatrici, che fanno pensare ad accoppiamenti, e ora gli studiosi sperano che i pinnipedi, una volta numerosi su alcune coste italiane, tornino a popolarle stabilmente e vi si riproducano come fanno in Tunisia e nel Mediterraneo orientale.
Le foche sono soltanto una tra le specie indicative dei ritorni in Italia di specie selvatiche. Dopo alcuni decenni, nei quali le popolazioni di animali si erano progressivamente contratte, alcuni fattori hanno propiziato l’inversione di tendenza. Hanno contribuito l’espansione delle foreste, aumentate nel nostro territorio del 30 per cento negli ultimi trent’anni (e tornati i boschi sono tornate, per esempio, le martore), e l’ampliamento e la gestione delle aree protette. Si sono innescate reazioni a catena, per cui alla presenza di un animale selvatico si è spesso aggiunta quella di un suo predatore, come nel caso di ungulati e lupi. Il caso più evidente, e di gestione più complessa, è di certo quello dei cinghiali, ormai colonizzatori anche di aree urbane e in forte espansione, con oltre un milione di esemplari e frequenti comparse anche in grandi città come Roma, Genova, Trieste.
L’esempio migliore di ripopolamento sono però gli ungulati, con il capriolo tornato in gran parte dell’Appennino, fino al Sud Italia, i cervi in forte aumento, i camosci in Abruzzo in ripresa e in forte crescita sulle Alpi. Emblematica la storia del ritorno degli stambecchi, di cui si contano ora sulle Alpi circa 20mila individui quando un secolo fa ne erano rimasti soltanto poche centinaia.
Gli animali riprendono terreno, a volte all’interno dell’Italia, altre passando i confini. Nel primo caso è indicativo il percorso dell’istrice, rimasto fino a pochi decenni fa soltanto nell’Italia centromeridionale e ora in espansione in Piemonte, Lombardia e Veneto, con avvistamenti anche in Trentino.
Altri, come lo sciacallo dorato, vengono in Italia da altri Paesi.«Nel Carso triestino contiamo ormai dieci branchi – dice Stefano Filacorda, docente di Scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio dell’università di Udine – e adesso studiamo con attenzione in che modo questa espansione influirà su quella del lupo. Lo sciacallo dorato, che fino a pochi anni fa si trovava soltanto nei Balcani, è in competizione con il lupo, ma è più generalista. Una cosa è certa, ha già influito in modo positivo sul numero di lepri».
Il punto è proprio questo, un ritorno ne propizia un altro e tutti contribuiscono ad arricchire la biodiversità. Nonostante la difficile interazione con le attività umane tutti i carnivori sono in aumento. I lupi si stimano oggi in circa duemila, quando negli anni ’70 ne rimanevano soltanto un centinaio e gli orsi, pur se fanno notizia le uccisioni, si riproducono. Torna il gatto selvatico, segnalato da poco in Trentino dopo decenni di assenza, e la lince, la lontra, come rapaci quali i gipeti e il falco pescatore. Purtroppo, però, le belle notizie riguardano soprattutto gli ambienti terrestri: le grotte della foca monaca vanno protette e sono urgenti interventi negli ecosistemi dei corsi d’acqua, dove l’uomo ha già fatto scomparire centinaia di specie. E non ci sono ritorni.