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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

«Col mio discorso di laurea ho stregato la Cina»

«Quando mi hanno detto che avrei tenuto il discorso di laurea in cinese di fronte alla mia famiglia e 8mila ragazzi ho pensato “cavolo, e adesso?”. Poi ho deciso di farlo a modo nostro, divertendomi e dando un messaggio di speranza: per chi si impegna tutto è possibile». Così Carlo Dragonetti, 24 anni, pugliese di Trani, mantello blu, tocco e baffetti, da quel palco li ha conquistati tutti.

Prima gli studenti della East China Normal University di Shanghai, che giovedì scorso festeggiavano il diploma insieme alle famiglie.
Quindi l’intera Cina: il video con le sue parole, diventato virale sui social network, è stato visto oltre 200 milioni di volte. Pure la tv di Stato lo vuole per un programma: «Oggi il sogno americano versione 2.0 si può vivere in Cina».
Perché hai studiato qui?
«Dopo la Laurea triennale a Milano ho fatto un corso di cinese a Pechino. Volevo lavorare, ma l’Italia non mi dava grandi possibilità, ho deciso di accettare una borsa della città di Shanghai e mi sono iscritto a un master in Relazioni internazionali. Qui il governo investe sugli stranieri: oltre a retta e alloggio mi hanno anche dato un compenso mensile di 400 euro. I due anni sono andati bene e tra 6mila studenti internazionali l’università ha scelto me per il discorso».
Potevi imitare Steve Jobs: «Restate affamati, restate folli».
Invece hai puntato sull’ironia, prendendo in giro l’abitudine cinese di bere acqua calda per curare ogni malanno. Un rischio.
«I cinesi sono patriottici, ma sapevo che facendoli sorridere l’avrebbero presa bene. E per prima cosa ho scherzato sui miei genitori, venuti a sentirmi senza sapere una parola della lingua. Nel dialetto di Shanghai ho detto: “Ma che siete venuti a fa’?”».
Il messaggio però c’era: noi siamo il futuro del mondo.
«Volevo mostrare uno spiraglio di libertà che magari qui non è consueto. I cinesi mi hanno insegnato tanto, si impegnano molto più di noi. Ma sono come dei Mac, un sistema operativo chiuso, mentre noi siamo Windows, più aperti a trovare strade alternative.
La mia storia mostra che con l’impegno tutto è possibile, chi poteva dire quattro anni fa che sarei salito su quel palco?».
Quando hai scoperto che avevi conquistato la Rete?
«Dopo un paio di ore mi è arrivato un messaggio da un amico: una pagina di Weibo (il Twitter locale, ndr) aveva caricato il discorso ed era stato visto 3 milioni di volte.
Poi è dilagato, lo ha ripreso il Quotidiano del popolo, negli ultimi tre giorni ho fatto sette interviste alla tv. Mi hanno proposto di partecipare a un programma, una specie di incrocio tra Italia’s got talent e X Factor, “na cafonata”, ma sono già lì con testa e cuore».
La notorietà in Cina è una montagna russa, ti spaventa?
«Qualche giorno fa ero a Pechino con i miei e la gente ha iniziato a riconoscermi per strada, a chiedere foto. Non posso neanche tagliarmi i baffi, le agenzie che mi hanno contattato hanno detto che devo essere uguale al video. Ma ho voglia di cavalcare l’onda».
Oggi hai un blog di viaggi. Da grande cosa vuoi fare?
«Non so, parlo sei lingue, mi hanno proposto un dottorato, ma insieme alla mia ragazza, italiana figlia di genitori cinesi, stiamo creando una startup per portare nelle università del Paese l’unico elemento internazionale che manca, il cibo».
Si vive bene in Cina, un Paese che ha concesso il tuo messaggio ma cancella quelli sgraditi?
«A volte mi sento in un mondo controllato, una specie di Black Mirror, ma qui le opportunità sono superiori a qualsiasi altra parte del mondo, America compresa. Shanghai è la nuova New York, dove con l’impegno si possono fare grandi cose. E il mio messaggio è passato».