Corriere della Sera, 20 giugno 2018
Google scoprirà quando moriremo?
Chi vorrebbe sapere il giorno della propria morte? Un algoritmo di Google sta tentando di dare la risposta. Dal punto di vista del sistema sanitario potrebbe avere importanza perché questa previsione potrebbe rispondere ad altre domande, non scientifiche ma economiche: quanto tempo dovrà stare il paziente in ospedale? O qual è la probabilità che ci debba tornare? Non è fantascienza. Google in maggio ha reso noto il caso di una donna malata di cancro all’ultimo stadio finita in un ospedale cittadino inglese. Il computer interno aveva stimato che le probabilità che la morte arrivasse nei giorni di ricovero era del 9,3%. L’algoritmo predittivo di Google che si basava sulla lettura di 175.639 informazioni sulla donna ha stimato una percentuale ben più alta, il 19,9. La donna è morta in pochi giorni.
La lettura dei cosiddetti big data, i grandi dati, dà nuova linfa all’Intelligenza artificiale che esisteva già dagli anni Cinquanta ma che, grazie a questa mole di informazioni, può ora imparare e fornire risposte più affidabili rispetto ai metodi tradizionali. Nigam Shah dell’Università di Stanford, che ha collaborato con Google al progetto, difende i lati positivi: il sistema rastrella le informazioni sul paziente ovunque, nei pdf delle cartelle sanitarie ma anche in vecchi appunti presi con metodi superati. Ma proprio ciò mostra il lato oscuro della medaglia: come verranno usati questi dati così sensibili? Le società parlano di dati «anonimizzati», formula forse rassicurante ma troppo generica. Lo scorso anno proprio DeepMind, una società sempre di Google famosa per avere battuto il campione di dama cinese, fu accusata dal regolatore inglese di avere usato dati sanitari pubblici con finalità diverse da quelle con cui erano stati raccolti. Il problema riguarda anche noi: la Regione Lombardia possiede 1,5 miliardi di dati dei cittadini, soprattutto informazioni sanitarie, ed è in discussione da tempo con Google e Ibm per la loro gestione.
Il nuovo regolamento europeo noto come Gdpr ha frenato il percorso. Il pericolo: chi ci garantisce che queste società non faranno mai un accordo, per esempio, con una compagnia assicurativa o una banca che potrebbero non concederci il mutuo o la polizza sapendo di noi più di quanto ne sappiamo noi stessi?