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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Uomo contro macchina: la prima sfida di dialettica finisce con un pareggio

Finisce in parità, 1 a 1, il primo confronto dialettico tra uomo e macchina della storia. Dan Zafrir ha l’aria del secchione dai movimenti impacciati, se non addirittura un po’ meccanici. Ma sostenere che, una volta opposto a «Project Debater», l’ultimo gioiello digitale uscito dai laboratori Ibm, un uomo risulti meno convincente, è (ancora) un po’ troppo. Il gigante informatico americano ama pubblicizzare le sue conquiste tecnologiche trasformandole in strumenti usati per battere la concorrenza degli umani in tornei popolari: eventi che facciano discutere, comprensibili per chiunque.
Così 22 anni fa il computer Ibm più potente del tempo, Deep Blue, riuscì a battere agli scacchi il campione del mondo, Garry Kasparov, mentre nel 2011 toccò a Watson (una macchina potentissima sviluppata in varie versioni, la principale delle quali viene attualmente usata per diagnosticare i vari tipi di cancro e le relative terapie biotecnologiche) battere i campioni di Jeopardy, il più celebre quiz televisivo d’America.
Se volete, quello che si è svolto l’altro giorno negli uffici Ibm di San Francisco, un dibattito tra uomo e macchina con Project Debater che ha sfidato due speaker in carne ed ossa, Zafrir e Noa Ovadia, in due discussioni sulle sovvenzioni pubbliche alla ricerca spaziale e sull’uso della telemedicina, è stato un confronto surreale e, forse, anche un po’ truccato: in sala, mescolanti nel pubblico votante, c’era anche gente dell’Ibm che ha comprensibilmente votato per la sua creatura tecnologica appena venuta alla luce dopo sei anni di gestazione.
Un voto d’incoraggiamento, anche se la macchina – che ha fatto una dichiarazione iniziale di quattro minuti, ha avuto altri quattro minuti a disposizione per rispondere alle obiezioni emerse nel contraddittorio e ha formulato in due minuti le sue considerazioni conclusive – non è stata sempre efficace: ad esempio ha ripetuto più volte che la ricerca spaziale offre notevoli opportunità economiche, usando parole diverse per esprimere lo stesso concetto. A volte, poi, la concatenazione delle frasi non è risultata del tutto convincente.
Insomma, dai primi vagiti di questo parallelepipedo nero inevitabilmente inespressivo, verrebbe da dire che per ora possiamo accantonare le nostre paure più estreme: il timore che l’intelligenza artificiale superi entro qualche anno quella umana, relegando chi l’ha creata in un ruolo subordinato. 
La tecnologia sta procedendo molto rapidamente ed è destinata a cambiarci sempre di più la vita. I robot sostituiranno sempre più spesso l’uomo, ma in funzioni specifiche, soprattutto quelle legate all’elaborazione di un volume immenso di dati. Il computer fatica, invece, molto, a svolgere le varie funzioni che l’uomo svolge in modo più o meno naturale e con un consumo di energia molto limitato: muoversi nello spazio, valutare i pericoli con un colpo d’occhio, elaborare le percezioni sensoriali. Le macchine attuali sono specializzate e per svolgere i loro compiti spesso assorbono quantità enormi di energia.
Eppure dietro l’impresa-spettacolo di San Francisco c’è una novità che possiamo considerare storica: Ibm, che si conferma all’avanguardia della ricerca sull’intelligenza artificiale (insieme a Deep Mind, unità di ricerca britannica di Google-Alphabet), passa dalle sfide disputate su un campo di gioco limitato – una scacchiera nella quale le possibilità di gioco sono numerosissime ma tutte note e un quiz riferito a tutto lo scibile umano ma con domande e risposte tutte contenute in impalpabili caselle di un archivio digitale – al confronto nel mare aperto della conversazione, del ragionamento, del linguaggio naturale con tutti i suoi infiniti significati espliciti e sottintesi.
Per adesso le capacità della macchina sono limitate ma, come dimostra il caso dei traduttori automatici, ciò che oggi appare meccanico e rudimentale, nel giro di pochi anni può diventare una soluzione praticabile e conveniente che non ci ruba l’anima ma cambia le nostre vite e altera, inevitabilmente, il mercato del lavoro.