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 2018  giugno 20 Mercoledì calendario

Genio, sregolatezza e Trump: Kanye West rapper da record

Definirlo è impossibile. Apprezzarlo è facile. Criticarlo è comune. Kanye West è uno dei rapper più controversi di sempre e lasciate perdere il suo lato glamour come marito di una donna famosa solo per essere famosa, ossia Kim Kardashian, mitragliatrice social da milioni di follower. In realtà non è un caso se Ye, il suo ottavo, brevissimo album in studio è anche il suo ottavo disco a debuttare al primo posto della classifica americana (primato che ora condivide con Beatles ed Eminem). 
Nato dov’è nata la trap, ossia ad Atlanta, Kanye West è forse il più geniale del bigoncio, anche più di Jay-Z (con il quale ha spesso collaborato) ed è il più punk dei rapper: sa sparigliare le carte, è imprevedibile e lo fa con quella naturalezza che piace oppure no, è divisiva, quindi perfetta per la «web opinion». Le sue esternazioni su Trump, ad esempio, non sono piaciute soprattutto alla comunità afroamericana e alle elite culturali che hanno bocciato i suoi tweet pro Donald e sono inorridite quando l’ha addirittura definito «mio fratello» sottolineando che trasuda «energia da drago». E l’ondata di indignazione è stata tale che per qualcuno avrebbe perso circa nove milioni di follower. Però Twitter ha smentito e i suoi amici su quel social sono sempre 27 milioni. 
Dopotutto questo neo quarantunenne di politica si interessa, e molto, al punto da aver annunciato (nel 2016) che si sarebbe candidato alle presidenziali americane nel 2020. Apriti cielo. Un rapper alla Casa Bianca e «yes we Kanye» avrebbe potuto essere lo slogan della campagna elettorale anche perché, prima di Trump, Kanye ha appoggiato l’Obama di «yes we can». Insomma, imprevedibile. 
Poi, certo, ha avuto problemi di depressione, è sparito dai social ma poi ci è tornato ma rimane comunque un extraterrestre che pubblica dischi superlativi (Yeezus del 2013 e The life of Pablo del 2016) e intende la musica come si faceva una volta. Come un flusso, e pazienza se quel flusso porta anche fatturato a sei zeri. Ad esempio alla fine di quest’anno saranno cinque i suoi progetti discografici nati dal flusso delle cosiddette Wyoming Sessions nella valle di Jackson Hole: oltre a Ye, ci sono gli album di Pusha T (quello che ha in copertina la foto del bagno dove è morta Whitney Houston), Nas, Tesana Taylor e l’esordio dei Kids See The Ghost, che altro non sono se non Kanye West con l’altro rapper Kid Cudi. Insomma, Kanye West è un artista stratificato (in uno dei suoi primi videoclip, Jesus Walk, si spiega che Gesù può cambiare la vita se si ha fiducia in lui) ma è molto reality, pur essendo stato uno dei primi a sganciarsi dai soliti cliché del genere (viva il denaro e abbasso il buon gusto). 
Per capirci, si mette in piazza, si espone, e non sempre i colori sono gioiosi. Ad esempio il fulmineo disco Ye (sette canzoni, 23 minuti) si apre con versi non proprio solari e ottimisti: «I pensieri più belli stanno sempre accanto ai più scuri/ Oggi ho seriamente pensato di ucciderti/ Ho contemplato, premeditato l’omicidio/ E penso al suicidio». 
In fondo gli piace piacere, e soprattutto gli piace mettere in mostra le proprie contraddizioni: «I hate being bi-polar. It’s awesone», cioè «odio essere bipolare, è fantastico», come ha fatto scrivere sulla copertina del disco. E se nel suo brano forse più memorabile di Ye chiede scusa per le sue uscite a vuoto, forse lo fa per sparigliare ancor di più le carte. In fondo di Kanye West si può dire tutto, che sia un visionario oppure un pazzo, ma non che gli manchi lo straordinario intuito del fuoriclasse.