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 2018  giugno 19 Martedì calendario

Il fattore Y che fa vivere meno i maschi

Non solo rende maschi i maschi, ma sembra influenzare la loro salute spiegando, almeno in parte, perché gli uomini vivono in media cinque anni meno delle donne. È il cromosoma Y, la struttura all’interno del nucleo di ogni cellula in cui viene custodito il Dna che caratterizza il sesso maschile, trasmesso direttamente da padre in figlio.

Nuove ricerche - come quelle di Malzorgata Gozdecka del Wellcome Sanger Institute e di Daniel Wright della University of Cambridge - stanno portando alla luce che Y non si limita a una manciata di compiti strettamente maschili, come dare origine agli organi sessuali oppure garantire la produzione di sperma. È anche implicato nel prevenire una serie di patologie, come alcuni tumori e l’Alzheimer, così come nella durata della vita: questa si accorcia in rapporto alla progressiva scomparsa di Y, che interessa all’incirca l’1.6% di tutto il genoma.
È durante i processi dell’invecchiamento che una percentuale rilevante degli uomini inizia a perdere il cromosoma Y in alcune cellule del sangue e in altre regioni dell’organismo. Il processo - chiamato «Loy», «loss-of-Y» - è la mutazione più comune: si stima che il 14% dei maschi tra i 66 e i 75 anni abbia una cellula ogni 10 del sangue in cui il cromosoma Y è addirittura svanito. E la percentuale cresce fino al 20% negli uomini oltre gli 86 anni. Oltre all’età, poi, un’altra causa è la possibile alterazione di alcune cellule essenziali per l’immunosorveglianza. Ma anche il fumo rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio. «Ed è proprio questa perdita - conferma Lars Forsberg, genetista alla Uppsala University in Svezia - a spiegare il divario nella vita media tra uomo e donna».
Strategia isolazionista
Alla base delle più recenti scoperte c’è la lunga avventura della natura. Tra i nostri antenati lontani, che hanno preceduto i mammiferi, il sesso era determinato - come avviene oggi nelle tartarughe e nei coccodrilli - non per via genetica, ma dalla temperatura: se un uovo di tartaruga, per esempio, si sviluppa al caldo, l’embrione diventerà femmina, mentre con temperature più basse sarà maschio. Nei mammiferi, dove la gestazione è interna, e quindi avviene in condizioni più stabili, l’evoluzione ha invece approfittato di una mutazione che conferiva un enorme vantaggio riproduttivo: così si è arrivati alla determinazione genetica del sesso, dove la coppia XX origina una femmina, mentre XY un maschio.
Il gene sul cromosoma Y responsabile dello sviluppo di un maschio si chiama «Sry» («Sex-determining Region Y») e codifica una proteina che agisce come fattore di trascrizione per il differenziamento della gonade in testicolo. Tuttavia, a differenza degli altri cromosomi, di cui abbiamo due copie in ogni cellula, l’Y è sempre presente in singola copia, trasmessa dai padri ai figli.
È una strategia isolazionista che, già negli Anni 90, aveva spinto a ipotizzare un costante declino del cromosoma Y, dato che non può scambiare i propri geni con una controparte. Oggi, tuttavia, le teorie sono cambiate: i nuovi studi dimostrano che Y ha sviluppato alcuni meccanismi efficaci per bloccare la degenerazione, rallentando il tasso di perdita genica fino, probabilmente, ad arrestarla. «È dinamico, ma stabile», ha commentato la biologa computazionale Melissa Sayres della Arizona State University.
Senza Y, quindi, una cellula può vivere? La risposta è ovviamente sì: le femmine ne fanno tranquillamente a meno. Un esempio clamoroso sono i ratti spinosi di Okinawa, che hanno perso i loro cromosomi Y: il gene «Sry» si è quindi spostato su un cromosoma diverso, originando maschi che non hanno affatto bisogno di Y.
Il collasso del Neolitico
Ma questo cromosoma racchiude comunque una storia particolarmente tormentata. Se l’è vista male, per esempio, in pieno Neolitico: 7 mila anni fa è accaduto qualcosa di insolito e per certi aspetti drammatico. Per un lungo periodo, in Africa, in Europa e anche in Asia, la diversità genetica di Y subì un vero e proprio collasso, come se fosse rimasto un solo uomo ogni 17 donne, generando così un «collo di bottiglia» genetico. L’ipotesi è che il crollo sia avvenuto a causa di continui e devastanti scontri tra clan che provocarono estese stragi di maschi. Ma non ci furono solo conseguenze negative. Sayres sostiene che, «al posto della sopravvivenza del più forte, questa serie di eventi potrebbe avere favorito la riproduzione di un numero limitato di individui più sociali». Erano non solo i sopravvissuti, ma anche gli uomini che non andavano a combattere.