la Repubblica, 19 giugno 2018
«Non chiamatele più fulminanti»
La chiamavano leucemia fulminante, a intendere la velocità e l’ineluttabilità con cui colpiva. Oggi quell’aggettivo si usa sempre meno, anche quando si parla delle forme più aggressive. Come quella che ha colpito Marzia, una donna di Palermo che al sesto mese di gravidanza ha scoperto di avere la forma acuta promielocitica. «Fino a 20 anni fa con la chemioterapia tradizionale riuscivamo a salvare solo il 15-20% di questi pazienti», racconta Sergio Amadori, presidente dell’Ail. «Ma – aggiunge – questa è una delle forme acute di leucemia per cui la ricerca ha fatto passi avanti da gigante, grazie all’individuazione delle mutazioni genetiche che la caratterizzano». Dalla conoscenza sono derivati dei farmaci efficaci e meno tossici della chemioterapia, tanto che Marzia ha potuto sottoporsi alle cure e portare avanti la gravidanza fino alla 35ma settimana, e partorire un bimbo sano. Il farmaco usato è un derivato dell’acido retinoico che, insieme al triossido di arsenico, ha portato grandi novità in questo campo. «In entrambi i casi si tratta di sostanze usate nella medicina tradizionale cinese che la ricerca occidentale ha dimostrato essere attive proprio sulle mutazioni che caratterizzano questa forma di leucemia», va avanti l’ematologo. Da soli o in combinazione con la chemio, questi agenti danno risultati notevoli, insperati. Uno studio tutto italiano, poi, ha dimostrato che nei pazienti che non hanno una malattia molto aggressiva, si possono mettere insieme i due farmaci, senza chemio, e le cose vanno altrettanto bene. «Ma la promielocitica è una forma rara, per le altre leucemie acute le cose non vanno così bene. La strada da percorrere è ancora lunga», sottolinea Amadori.
Diversamente dalla malattia che ha colpito Marzia, che ha solo due geni mutati, le altre sono causate da un insieme di alterazioni genetiche, fra cui è difficile individuare il bersaglio migliore. Ma anche in questo campo qualcosa si muove e negli Usa sono stati approvati 4 nuovi farmaci per la leucemia mieloide acuta, la forma più diffusa fra quelle aggressive. Il primo è un anticorpo monoclonale, gemtuzumab ozogamicin. Il secondo è la midostaurina, approvata anche da Aifa, che colpisce un’altra mutazione; il terzo è un inibitore del gene Idh2; l’ultimo è un mix di due vecchi farmaci. «Accanto ai farmaci che colpiscono i geni ci sono anche quelli che agiscono sull’ambiente cellulare, i cosiddetti medicinali epigenetici, particolarmente adatti ai malati over 65 che presentano anche altre patologie», aggiunge Amadori.
Ma è nella leucemia linfoblastica acuta, che colpisce prevalentemente i bambini, che la ricerca sta dando il meglio di sé, con la Car-T, cioè il trapianto di cellule del sistema immunitario “istruite” in modo da colpire quelle tumorali. «È davvero la nuova frontiera», conclude Amadori.