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 2018  giugno 19 Martedì calendario

Jodie Foster: «Invecchio ma non mi preoccupa. Ho avuto una bella vita»


Sono passati più di cinque anni da quando Jodie Foster, due volte premio Oscar, è apparsa come protagonista in un film, il thriller di fantascienza Elysium di Neill Blomkamp, e da quando, ai Golden Globe del 2013, nel ricevere il premio Cecil B.
DeMille alla carriera, fece il suo coming out rivelando, sia pur in modo più o meno celato, la sua omosessualità. Ma in questi cinque anni la Foster, 55 anni e madre di due bambini adottivi di 21 e 16 anni, tutto ha fatto tranne che stare ferma: non solo ha continuato il suo impegno umanitario e sociale, soprattutto contro il global warming, ma ha diretto George Clooney e Julia Roberts nel film Money Monster, sull’universo finanziario e l’influenza dei media su quell’ambiente. Ed è ora tornata come attrice sugli schermi Usa con Hotel Artemis, prossimamente nelle sale italiane, diretto da Drew Pearce, ambientato nel futuro a Los Angeles, in cui la Foster è un’infermiera che dirige un ospedale segreto destinato solo a criminali. «Quello che amo di questo film è la sua originalità», dice l’attrice a Los Angeles, dove vive con i figli. «Sono stufa di rivedere lo stesso film di continuo, tutti questi franchise che si ripetono. C’è qualcosa di bello nella combinazione di un universo quasi nostalgico, retro, vintage, alla Wong Kar-Wai, mischiato a orrore, azione, fantascienza, pieno di energia».
Nel film lei appare notevolmente invecchiata, imbruttita, ingrassata.
Non ha avuto incertezze?
«No, anzi. Quel look crea un personaggio che penso nessuno abbia mai visto prima. E mi piace sorprendere il pubblico, volevo spingermi il più possibile in quella direzione senza distrarre lo spettatore con troppo make up. Quella dell’età è una questione interessante per tutti noi che abbiamo più di 40 anni.
Volevo una trasformazione e un personaggio totalmente diverso da chi sono io, e come attrice ero contenta di interpretare una persona più vecchia, con un volto a metà tra la tragedia e la comicità. Io non sono mai stata una persona particolarmente vanitosa, non ho costruito la mia carriera sul mio aspetto fisico, non sono mai stata la fidanzata o l’ingenua di turno, sono sempre stata per prima cosa attrice. E poi vedo le conseguenze degli anni su di me, vedo la pelle che cambia, le rughe che arrivano, e non ci posso fare nulla. Ho avuto una vita ricca e piena, vi assicuro che non è un look poco glamour che mi preoccupa».
Diceva che il film è anche una metafora...
«Sì, vedo questo film come un’allegoria, in cui tutti i personaggi sono archetipi che lottano alla ricerca della propria identità, e sono intrappolati in questa prigione dorata, come fossero morti senza nemmeno saperlo».
Cinque anni fa, ai Golden
Globe, lei ha fatto un discorso importante...
«Che ha segnato un momento importante per me. È stato un onore. Quando ricevi un premio alla carriera non vieni riconosciuto per un film particolare, ma per tutto quello che hai fatto nella vita. E non avrei potuto accettarlo e riconoscerlo senza celebrare e onorare la transizione che stavo attraversando nella mia vita, sapendo che stavo muovendomi e stavo cambiando il mio passato in quello che sarebbe stato il mio futuro. Penso che con quel discorso abbia detto tutto quello che dovevo e volevo dire e non c’è motivo di tornarci su. Ho detto tante cose che volevo spiegare a quel pubblico là fuori che si impiccia delle mie cose!
Intendiamoci, sono grata per questo folle lavoro che mi è stato dato e per la mia incredibile vita come artista nel mondo del cinema. Quindi volevo mettere in evidenza l’importanza di quel mondo per me e anche sottolineare la lotta che devo sempre combattere perché ciò che faccio sia significativo».
Tra i suoi impegni c’è anche quello contro il riscaldamento globale...
«Non c’è bisogno che io esprima la mia opinione: il global warming è un fatto, e lo stiamo sperimentando tutti. Io sono un’amante della scienza, anche se sono sempre stata più brava con le materie umanistiche. E spero davvero che la scienza possa darci anche una risposta per aiutarci a capire come occuparci l’uno dell’altro. Non sono una brava portavoce per quanto riguarda questioni politiche, nessuno ha bisogno di sentire un altro attore che ci dice la sua. Abbiamo bisogno di azione e consapevolezza. E come in tutti i movimenti di giustizia sociale, come in tutti i movimenti di diritti civili dobbiamo imparare dagli sbagli. E se vogliamo un reale cambiamento dobbiamo fare in modo che tutti possano arrivare alla verità e alla riconciliazione. Che poi è il concetto anti-apartheid che ci ha insegnato Desmond Tutu: imparare a risanare una cultura mettendoci tutti nella stessa stanza e comunicare chi siamo e cosa abbiamo imparato».
Il suo prossimo progetto?
«Non lo so ancora, sto guardando molto nella direzione dei network via cavo e dello streaming perché davvero penso che il futuro delle storie sia lì tanto quanto nel cinema. Mi piace il formato di un’ora e mezzo, con un inizio, una metà e una fine. È solo questione di tempo».