la Repubblica, 19 giugno 2018
Gli scrittori del Premio Strega e i porti aperti
L’appello in favore dei “porti aperti” firmato dai dodici scrittori in lizza per il premio Strega, per giunta nel nome di un concetto del tutto impopolare come «la complessità di ogni vita umana», stringe il cuore. Per la sua valorosa inutilità. La qualifica di scrittori, dunque di intellettuali, è sicura ragione di sghignazzi e gesti dell’ombrello da parte della smisurata claque governativa. Una maggioranza rumorosa la cui ignoranza, finalmente valorizzata, è l’albero al quale sarà impiccato qualunque scriba o sputasentenze o professorino che voglia opporsi al vigoroso andazzo forcaiolo. Un finalista dello Strega, poi! Figurarsi: casta, raccomandati, servi del regime che hanno sicuramente sottratto il diritto di essere pubblicati al paio di milioni di italiani che spediscono i loro dattiloscritti e file, da anni, alle case editrici, e non vengono pubblicati solo perché non fanno parte dei salotti che contano. (Magari hanno scritto orrende cagate, ma il momento è quello giusto – finalmente! – per sentirsi vittime di discriminazione).
Per anni ho considerato gli appelli degli intellettuali, compresi i pochi che ho firmato, imbarazzanti autocertificazioni del proprio cosiddetto prestigio; non sempre giustificati dalla buona causa che li animava. Ora, stante il clima del Paese, la tentazione è considerarli tutti, indiscriminatamente, nobili e giusti, perché provengono dallo sprofondo più nero, e dalla condizione socialmente più esecrabile: il mondo della cultura.