Corriere della Sera, 19 giugno 2018
La docu-fiction di Albano, un punto fermo della cultura pop
Spero venga replicato presto, spero si possa vedere su Mediaset On Demand, ma Madre mia, la docu-fiction in cui Albano Carrisi racconta la sua vita, è un punto fermo della cultura pop. La cosa incredibile è che il programma è fatto male, un miscuglio di testimonianze dirette (bellissime), di fiction (di rara modestia), di «spiegoni» di storici ed esperti di varia umanità (completamente inutile, al limite del ridicolo), di gesti di amicizia attraverso le parole di Lino Banfi, Mara Venier, Michele Placido, Orietta Berti, Toto Cutugno, Roby Facchinetti (Rete4, domenica, ore 21,15).
Eppure, Albano regge tutto: la sua potenza e la sua estensione di voce sono anche dilatazione vivida dei ricordi, dei dolori, dei sacrifici, delle speranze e dei successi internazionali.
Seguendo Madre mia, capita di rammaricarsi di non essere Massimo Recalcati, di non aver gli strumenti per capire il rapporto tra Albano (Telemaco?) e sua madre, Jolanda Ottino, moglie, madre, nonna e bisnonna (Penelope?), «la donna più importante della mia vita», come sottolinea più volte il figlio. Più importante di Romina? Più importante della Lecciso? Più importante di Ylenia? Non lo sapremo mai, non essendoci Recalcati (accanto a Marino Bartoletti e Dario Salvatori ci poteva stare anche lui). L’avventura di Albano, da Cellino San Marco ai più grandi palcoscenici del mondo, merita ogni rispetto e lui dimostra una grande capacità evocativa nel rivolgersi ai numerosi figli; la storia d’amore con Romina, nata sul set di un «musicarello», è una favola pop unica, con tanto di colonna sonora (mancava solo il confronto tra la mamma Jolanda e la suocera Linda Christian, detta The Anatomic Bomb). Lontani i tempi in cui nel libro Il peggio di Novella 2000 Arbore e D’Agostino accusavano simpaticamente Albano di aver chiuso Romina in una masseria del Sud Italia a guardare le galline e a vendere le pentole. Quella masseria è ora la sua Xanadu.