Corriere della Sera, 19 giugno 2018
Sulla biblioteca di Umberto Eco interviene lo Stato
E alla fine, quando nessuno se lo aspettava, arrivò lo Stato. Grazie al quale potrebbe trovare una collocazione adeguata la famosa biblioteca di Umberto Eco. Anzi, le due biblioteche, quella antica e quella moderna, più l’archivio. La proposta alla famiglia, avanzata da Gino Famiglietti, capo della Direzione generale Archivi del ministero dei Beni culturali ha lo scopo di rendere opportunamente disponibile l’intero corpus in una sola sede senza dispersioni e smembramenti. Intanto, sono pronti, attinti alla riserva del gabinetto ministeriale, due milioni. Quanti ne chiedono i familiari per i 1.200 volumi antichi: richiesta, per la verità, tutt’altro che esosa se si considera il pregio dei libri rari acquistati da Eco nella sua lunga vita di bibliofilo. Viceversa, la biblioteca moderna di lavoro, che consta di 30 mila volumi e che attualmente si trova nell’abitazione milanese di piazza Castello, sarebbe oggetto di donazione gratuita, così come l’archivio. I due fondi bibliografici e le carte verrebbero dunque sistemati, secondo il disegno del Ministero, nell’Archivio di Stato di Milano, cioè nel prestigioso Palazzo del Senato. La Sala degli affreschi al primo piano dovrebbe ospitare il nucleo antico, mentre a pianterreno, dopo una risistemazione degli ambienti, verrebbe collocato l’archivio con la raccolta moderna. Questa sarebbe provvisoriamente data in deposito alla Biblioteca universitaria di Bologna: compiuta la digitalizzazione, raggiungerebbe l’Archivio di Stato milanese riunendo in una sola sede tutto il materiale di Eco. Dopo un sopralluogo, avvenuto in aprile, la Direzione Archivi ha sottoposto una bozza di accordo alla famiglia.
Dunque, tutto risolto? Non proprio, visto che gli eredi del semiologo (la moglie Renate Ramge e i figli Carlotta e Stefano), pur lusingati dall’offerta dello Stato, vorrebbero dare seguito alle trattative, giunte a livello avanzato, con la Biblioteca Braidense e con l’Università di Bologna, dove Eco ha insegnato dal 1971 e che gli avrebbe già dedicato un Centro internazionale di studi. Sia il direttore generale di Brera, James Bradburne, sia Francesco Ubertini, rettore di Bologna, hanno espresso il desiderio di acquistare i volumi antichi: ma si tratterebbe ancora di trovare i due milioni richiesti (l’Università bolognese disporrebbe di una dotazione finanziaria parziale della Cassa di Risparmio cittadina). L’auspicio della famiglia è che i volumi antichi vadano a Brera e a Bologna la sezione moderna con le carte: due enti che garantirebbero la conservazione e la consultazione del patrimonio librario e archivistico agli studiosi e ai cittadini. In definitiva gli eredi accoglierebbero volentieri la proposta di acquisto statale, ma escludendo la possibilità di tenere insieme l’intero patrimonio all’Archivio di Stato milanese e chiedendo al Ministero di dare in deposito le due sezioni a Brera e all’ateneo bolognese.
Dal canto suo, la Direzione Archivi, nel proposito di tutelare l’unità di un patrimonio da considerarsi «compendio di interesse storico particolarmente importante», ha perciò avviato nei giorni scorsi un procedimento di vincolo attraverso la Soprintendenza lombarda: il che significa che gli eredi di Umberto Eco non potranno realizzare lo smembramento del corpus. Il principio che regge la decisione è l’inscindibilità del «complesso documentale e bibliografico» alla luce della personalità stessa di Eco, la cui attività di scrittore si connette strettamente con quella dello studioso senza soluzione di continuità: autore per eccellenza metaletterario e postmoderno i cui romanzi si nutrono della biblioteca, degli studi del medievista e del semiologo, della passione del bibliofilo. Si potrebbe dire che il metodo «strutturalista» proprio del semiologo viene ora applicato alla sua stessa produzione e di conseguenza al laboratorio in cui sono state concepite e realizzate le sue opere.
La sterminata documentazione archivistica – divisa oggi tra l’appartamento di Milano, la casa di campagna a Monte Cerignone nelle Marche e la residenza di Parigi – inizia con la fine degli anni Quaranta e si estende fino alla morte (19 febbraio 2016). Contiene: materiali preparatori di saggi, conferenze, lezioni; manoscritti e dattiloscritti preparatori degli studi e dei singoli romanzi; quaderni, taccuini, appunti sparsi di carattere biografico; materiali per progetti editoriali e istituzionali; vignette, disegni, racconti umoristici, giochi di parole e parodie. Infine, si può solo immaginare l’importanza della corrispondenza con amici, artisti, scrittori, editori, studiosi, accademici italiani e stranieri: alcune delle lettere, per volontà testamentaria, non sono pubblicabili entro il 2026. Alle carte si aggiungono ovviamente i file digitali.
Non ci sono dichiarazioni esplicite di Eco sulla sorte desiderata per la sua collezione libraria, ma molti sono gli scritti sull’idea di biblioteca come «garanzia di un sapere» e «organismo vivente dotato di vita autonoma». Ad Andrea Kerbaker Eco raccontò il suo rapporto con il patrimonio librario acquisito negli anni: «Per lui – ha scritto Kerbaker nel 2013 – è come parlare di se stesso, di un pezzo consistente della sua esistenza ormai lunga». Quanto allo sviluppo della biblioteca, Eco parlò di una crescita avvenuta «dapprima in maniera non troppo sistematica», poi più puntuale e metodica: «Un tempo correvo qua e là per scovare pezzi curiosi. Oggi mi limito a poche scelte mirate». La collezione antica, battezzata ironicamente «Bibliotheca Semiologica Curiosa, Lunatica, Magica et Pneumatica» e dedicata per lo più «al sapere occulto e al sapere falso», si trova in una apposita stanza dell’appartamento milanese, climatizzata e dotata di allarme autonomo. Oltre ai 36 incunaboli, tra cui il De Civitate Dei di Sant’Agostino edito a Roma nel 1470 e l’Hypnerotomachia Poliphili impresso da Manuzio nel 1499 («il più bel libro mai stampato», secondo Eco), ci sono le numerose cinquecentine e tanti testi che «riemergono ciclicamente nei romanzi, nei saggi e nelle interviste», come testimonia lo studioso olandese Frans A. Janssen, che visitò più volte la biblioteca di Eco. Senza dimenticare la serie di preziosi volumi otto-novecenteschi, come le due ristampe (1924 e 1926) della prima edizione parigina, presso Shakespeare & Co, dell’Ulisse di Joyce, che fu oggetto di studio da parte di Eco.
La biblioteca moderna consta di un totale di circa 50 mila volumi che occupano 800 metri lineari: molti esemplari portano le dediche degli autori ma soprattutto contengono appunti manoscritti e note autografe di Eco. Il che conferma l’inseparabilità dall’archivio e il rapporto intimo con le altre carte. Ma anche la parte antica si integra con quella moderna in un complesso unitario che non andrebbe scisso. In questa direzione va intesa l’iniziativa ministeriale che vincola l’intero patrimonio esortando la famiglia ad accogliere la proposta di collocare il tutto nell’Archivio di Stato di Milano.
È vero che diversi tra i maggiori autori del Novecento, come Gadda, Pasolini e Calvino, hanno i loro manoscritti e le loro biblioteche dispersi in sedi varie e a volte molteplici (Gadda a Milano, Pavia, Firenze, Villafranca, Roma…), ma questo è avvenuto spesso per accidenti storici non prevedibili né evitabili. E ciò non toglie che il progetto di raggruppare in un unico luogo le carte e i libri dei singoli scrittori sia sempre l’obiettivo auspicabile. E lo è a maggior ragione per una personalità intellettuale come quella di Eco.