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 2018  giugno 19 Martedì calendario

I club a luci rosse con lo sconto sulle tasse

Al Bijoux club privé in Veneto organizzano sesso di gruppo su prenotazione e, al mercoledì, propongono la serata trasgressiva. Il Fantasy club privé sui colli Euganei raduna le coppie di scambisti e riserva ai suoi ospiti stanze dotate di gabbie per i loro giochi erotici, all’Istinto club di Manerba del Garda è consigliato un dress code elegante (tacchi alti per lei, no scarpe da ginnastica per lui) ma una volta dentro si può tranquillamente stare nudi. E ancora, in altri night, oltre ai tavoli, si possono anche prenotare le dark room e le ragazze nei privé per mezz’ora di show. 
Insomma, nulla di più lontano dal mondo del no profit. Eppure anche i club a luci rosse fanno parte del terzo settore. Ne rappresentano il lato più oscuro ma paradossalmente godono delle stesse agevolazioni fiscali di una  bocciofila per anziani o di un’associazione di volontariato. Anzi, i locali hot per adulti sono affiliati alle stesse associazioni che radunano le società sportive dilettantistiche o che organizzano i centri estivi per i ragazzi disabili. Quelle che prendono il nostro 5 per mille, quelle riconosciute come «enti assistenziale senza scopo di lucro» dal ministero dell’Interno e che per anni sono state tra i componenti dell’Osservatorio nazionale sull’associazionismo. Allo stesso tavolo attorno a cui siedono le associazioni che rappresentano Anffas, Avis, Exodus e i big del mondo delle onlus (vere). 
TUTELA DELLE MINORANZE
I localini per adulti nei loro siti pubblicizzano le serate o i pomeriggi di sesso libero ma spesso mettono anche in bella vista la loro appartenenza alle associazioni no profit come marchio di garanzia. Raccontano di aderire fedelmente allo statuto dell’organizzazione di turno che «promuove la lotta alle discriminazioni delle minoranze» e «le attività ricreative rivolte alle categorie di soggetti che vivono in condizioni di marginalità sociale». Suona tuttavia un po’ strano pensare che uno scambista sia in condizioni di «marginalità sociale» al pari di disabili, minori abbandonati o immigrati. 
Se non altro alcune discoteche con sexy privé giustificano la loro appartenenza al terzo settore promuovendo campagne sociali a favore del sesso sicuro, appoggiando conferenze mediche dedicate alle malattie sessualmente trasmissibili e lavorando a fianco dei circoli Lgbt per l’affermazione dei diritti omo. Altri night club invece non si pongono minimamente il problema della «missione sociale» e cavalcano esclusivamente il loro business privato, con le signorine che ricevono i clienti, li inducono a consumare al bar e ad aggiungere 50-100 euro di intrattenimento nelle salette riservate. Generando incassi che non vengono utilizzati per nessuna iniziativa morale, ma semplicemente intascati al pari di un locale privato qualunque.
Eppure sono circoli a tutti gli effetti: per entrare ci vuole la tessera associativa e godono di una buona dose di vantaggi, come le organizzazioni no profit: in qualità di associati non pagano le imposte sul reddito perché i proventi non sono soggetti all’Ires, non pagano l’Iva su molte operazioni, sono esenti da una parte delle tasse. O ancora, hanno sgravi sulle operazioni di ristrutturazione e sconti su commercialista, assicurazione e consulenza legale. 
Lo strano binomio no profit-sesso nel privé non si è fermato nemmeno dopo lo scandalo delle prestazioni a pagamento. Qualche tempo fa è accaduto che Anddos, l’ex associazione contro le discriminazioni da orientamento sessuale, tra i suoi affiliati avesse anche alcuni locali in cui si consumavano episodi di prostituzione gay. E, mentre nelle salette accadeva di tutto, l’ente stava per ricevere 55mila euro di fondi pubblici (poi bloccati) autorizzati dall’Unar, l’unione anti discriminazioni razziali, proprio in nome del suo statuto e della sua missione di integrazione. Il presidente si è dimesso, il gruppo è stato costretto a cambiare nome (Arco) e da poco sta tentando un restyling. 
Ma le altre realtà che, di fatto, danno la benedizione ai localini osé, non sono state messe in discussione da nessuno, né quelle riconosciute direttamente dal ministero né quelle che dicono di essere in attesa del riconoscimento. 
Come è possibile che nel mondo del no profit abbia trovato spazio un sottobosco simile? 
COME FUNZIONA
Innanzitutto perché la marea di enti no profit è un po’ complicata da controllare. E poi perché le associazioni al 90% si occupano di società sportive dilettantistiche, saghe, festival culturali o simili. Le affiliazioni dei localini riguardano solo una piccola parte dell’attività, marginale e spesso affidata a un «sotto-ente» o a una sezione a parte. 
«Si tratta di un vecchio problema – conferma Alberto Spelda, presidente di Fenalc, la federazione nazionale dei liberi circoli – che non riguarda solo i night club ma anche pub, golf club e ristoranti che si sono infilati nelle maglie larghe del terzo settore. Nel nostro caso, si tratta di associazioni autonome che si erano affiliate a noi per alcuni singoli progetti e che tuttavia sono rimaste libere di fare ciò che credono. Io personalmente sono contrario a certe iniziative, ma siamo pur sempre in una democrazia. Tuttavia i club devono rispettare alcune regole, che non sono certo quelle dei profitti di un’attività commerciale. Dal canto nostro possiamo revocare l’affiliazione alla Fenalc ma prima dobbiamo ricevere una segnalazione delle forze dell’ordine, altrimenti no. Con alcuni locali abbiamo delle pendenze e delle cause legali aperte perché hanno utilizzato il nostro marchio senza averne diritto». Insomma, la sensazione è che la realtà dei localini notturni sfugga totalmente anche a chi ci mette il «patrocinio»: qualche controllo sulla qualità delle attività viene fatto ma, come precisa lo stesso Spelda, «gli ispettori sono tutti volontari» e non è certo possibile effettuare verifiche a tappeto. Idem per le convenzioni riservate ai tesserati, anche queste spesso stipulate al di là di spirito sociale o etico. Così capita che tra gli enti «gemellati» con le organizzazioni no profit si infilino anche associazioni dedite che noleggiano limousine o forniscono servizio bus privati per andare in discoteca. Perché debbano essere legate a un ente assistenziale non è ben chiaro. 
Il giro della sexy movida riguarda solo una minima parte degli affiliati alle onlus, ma stona in tutto e per tutto con la portata delle altre iniziative: «Noi lavoriamo tantissimo con i disabili – precisa Spelda – organizziamo campus estivi per intrattenerli quando i genitori lavorano, promuoviamo lo sport, anche paralimpico, e lo stare assieme sano: dalle saghe tradizionali alle iniziative culturali». 
LE FINTE ONLUS 
Il problema delle false onlus non riguarda solo club erotici ma anche ristoranti, alberghi, circoli sportivi d’élite e palestre. Nel 1997, quando nacque il registro delle onlus, iscriversi era un gioco da ragazzi e l’Agenzia delle entrate non aveva ancora gli strumenti adatti per organizzare controlli fiscali a tappeto. Nel momento in cui le regole sono cambiate, parecchi truffatori sono venuti a galla con oltre tremila onlus che tali non erano. Tuttavia il giro di vite non è bastato e si spera che si possa fare più ordine con la riforma del terzo settore in via di approvazione. «Un meccanismo di controllo sulle organizzazioni c’è – spiega Maurizio Mumolo, direttore del Forum nazionale del Terzo settore – ma spesso sono mancati i soldi per effettuare i controlli. Da qualche mese il Forum ha avviato un percorso per costruire un sistema di auto-controllo da parte di chi opera nel no profit e per scrivere un codice etico».