Il Sole 24 Ore, 19 giugno 2018
La Colombia sceglie Duque, il giovane conservatore che rivedrà gli accordi di pace
La Colombia ha scelto Ivan Duque, 41 anni, conservatore, ex avvocato presso la Banca Interamericana di Sviluppo. Sarà lui il presidente, sarà lui a gestire i fragili equilibri politici tessuti da Juan Manuel Santos, l’attuale presidente. E sarà lui a rivedere gli accordi di pace con le Farc – siglati nel 2016 – che hanno consentito al Paese di uscire dall’incubo di un conflitto durato 50 anni, con 280mila morti. Duque ha vinto con il 54% dei voti il ballottaggio contro Gustavo Petro, esponente di sinistra, ex guerrigliero, che ha incassato il 42% dei voti.
Una vittoria (non) annunciata ma indiscutibile, ottenuta con quasi 10milioni di voti contro gli 8milioni di Petro. Sono tre le ragioni che spiegano il risultato: la prima è la forza dell’ex presidente Alvaro Uribe, un “falco” di cui Duque è il delfino. Uribe, presidente dal 2002 al 2010, e ora non più candidabile, mantiene uno zoccolo duro di consensi molto alto. La seconda è imputabile al posizionamento del candidato di sinistra: Petro è stato inesorabilmente associato a una posizione meno intransigente nei confronti di Nicolas Maduro, il presidente del Venezuela. Da lì sono arrivati almeno 500mila profughi. L’argomento Venezuela ha giocato quindi un ruolo decisivo nella scelta degli elettori. Infine, in una campagna elettorale accesa che spesso ha travalicato i limiti del confronto civile, il carattere pacato di Duque ha costituito, per gli indecisi, un elemento apprezzabile.
L’accordo con le Farc, che Duque ha già detto di voler emendare, in quanto troppo indulgente con gli ex combattenti guerriglieri, ha generato una frattura nella società colombiana: dall’agosto 2016, data dell’accordo tra Santos e Rodrigo Londono, alias Timochenko (capo delle Farc), la Colombia ha cambiato pelle. Meno morti, certo, ma la società non accetta una pacificazione costituzionalmente chiara ma socialmente controversa. Non elaborata. Almeno per tutti i colombiani che guadagnano meno e vivono peggio di un guerrigliero “agevolato” e aiutato nel processo di reinserimento.
«Una nuova generazione è arrivata al governo della Colombia, con il più ampio voto nella storia del Paese», ha dichiarato Duque. Nel suo mandato quadriennale – ha ribadito la sua squadra – ridurrà le tasse, attirerà nuovi investimenti dall’estero e rafforzerà i militari. Duque ha promesso un «attacco frontale» alla corruzione, a fronte di un’impennata nella produzione di cocaina che ha definito una «minaccia alla sicurezza nazionale». Il ministro della Difesa, Luis Carlos Villegas, pochi giorni fa è stato costretto a reiterare la lotta al narcotraffico, ammettendo che la produzione di coca, negli ultimi anni, ha toccato picchi senza precedenti.
La svolta di pace, pur complessa e certamente non completata (vi sono circa 400 guerriglieri ancora in attività, il 7% del totale) non ha impedito al governo l’introduzione di incentivi e pacchetti di promozione per l’insediamento delle imprese. Molte hanno accettato, attratte dall’imposta fissa, una “flat tax” del 20%. Le facilitazioni prevedono esenzioni dell’Iva e dei dazi di import-export. Le imprese italiane hanno risposto all’appello investendo 400 milioni e facendo lievitare l’interscambio commerciale a 1,3 miliardi di euro all’anno. La Colombia ha mostrato negli ultimi anni buone performance di crescita, superiori al 4% all’anno. La ripartenza del Paese non può che passare attraverso il collasso del suo “core business”, la droga.