Il Messaggero, 19 giugno 2018
Bacharach: «Con Sinatra? Non c’era intesa»
La storia può essere più forte del tempo. Specie una storia come quella di Burt Bacharach, novant’anni da un mese, campione dell’american song che, nella vita, ha messo insieme una sfilza infinita di hit imbattibili (da The look of love, a Raindrops keep fallin’ on my head, a Walk on bye, a I say a little prayer, a Close to you, a I’ll never fall in love again) e non ha alcuna intenzione di arrendersi, pronto a ripartire in viaggio con la sua preziosa collezione di successi.
Mister Bacharach, dopo una carriera così lunga e piena di gratificazioni, cosa la spinge ancora a stare in pista?
«Lo so, i miei anni sono tanti. Ma molto dipende da come ti senti. E poi ho imparato a essere diligente e a vivere una vita sana. Stare sul palco è la cosa meno faticosa, semmai sono gli spostamenti a gravare. Ma tutto ciò, comunque, mi rende felice, specie il contatto con il pubblico».
Guardando indietro, è stato facile, col suo talento, raggiungere il successo?
«All’inizio ho scritto un sacco di canzoni che non voleva ascoltare nessuno, allora pensavo che comporre fosse una cosa semplice, scrivevo perfino cinque pezzi al giorno. Poi ho imparato che le cose semplici deludono il pubblico».
Le sue hit hanno avuto una gestazione complicata?
«Per scrivere Alfie ci sono volute tre settimane. Per la verità c’è un solo pezzo che io e il mio partner Hal David abbiamo scritto rapidamente: I’ll Never Fall in Love Again. Sa perché? A quel tempo ero in ospedale con una polmonite, ma contemporaneamente doveva debuttare il musical Promises, promises e mancava ancora una canzone. Il produttore, un tipo senza scrupoli, mi dette letteralmente un ultimatum: Se entro la settimana il musical non è pronto, mi rivolgerò ad altri. Mi sono alzato, sono andato in albergo e con Hal abbiamo scritto il pezzo in tre ore».
Il suo perfezionismo è leggendario, si racconta che abbia fatto ripetere Alfie alla cantante Cilla Black 32 volte.
«Penso che quando hai tanti musicisti in studio devi ottenere il massimo da tutti allo stesso tempo. Per questo bisogna avere pazienza».
Fra le sue centinaia di canzoni ce ne è una preferita?
«Proprio Alfie. Ricordo che Miles Davis mi disse che gli piaceva. E, se il complimento veniva da uno come lui, doveva essere vero. Ma amo anche That’s what friends are for».
Lei ha avuto grandi interpreti, Dionne Warwick, Aretha Franklin, finì male, invece, con Sinatra.
«Mi telefonò lui, ma non ci siamo trovati, dopo un’ora di lavoro ha detto: Lasciamo perdere. Non ammetteva più di due prove in studio e io non sono capace a lavorare così. E poi c’era anche qualche difficoltà di intesa musicale. Quando registrò Wives and lovers con Count Basie e Quincy Jones, cambiarono il pezzo dal 3/4 originale, il tempo del valzer, al 4/4. Ho chiamato Quincy e gli ho chiesto cosa fosse successo: Count Basie non suona in tre quarti, fu la risposta».
Il suo primo successo, Magic moments, ha 70 anni. Lo scrisse quando era il pianista di Marlene Dietrich, la grande diva che si era presa una cotta per lei.
«Era molto possessiva ma faceva di tutto per spingere la mia carriera. È stata una grande amica, ma per principio io non ho mai mescolato amore e lavoro. Quanto a Magic moments, venne lanciata da Perry Como ma era una canzone molto diversa da quello che ho fatto dopo, quando ho scritto cose molto più r’n’b oriented».
Il suo successo è arrivato negli anni del Vietnam, dei movimenti pacifisti, della flower generation. La sua musica era più tradizionale rispetto al rock di protesta.
«Ma il mio mestiere è far musica non politica. A quel tempo, comunque, avevo capito anch’io che il nostro governo aveva fatto un grande errore, come è stato fatto anni dopo con l’invasione dell’Iraq».
Sta scrivendo nuove canzoni? «Lavoro al piano tutti i giorni e ho registrato un paio di cose. Oggi, però, con lo streaming la situazione degli autori è diventata tremenda».
Che ne pensa della musica attuale e dell’hip hop?
«I giovani vogliono sempre nuove cose, ma non so cosa resterà del rap. Per quanto mi riguarda non so neppure quando ho sentito l’ultima grande canzone».
In passato ha lavorato con alcuni artisti italiani, cosa le è rimasto di quelle esperienze?
«Soprattutto il ricordo di Mario Biondi, è un artista formidabile».
Bacharach a luglio suonerà il 23 a Milano e, il 25, al Teatro romano di Ostia Antica. Il suo concerto, uno show di classe senza sorprese dove, il grande compositore presenta con leggerezza i suoi arrangiamenti e i suoi successi.