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 2018  giugno 19 Martedì calendario

Il 43% dei rom ha la cittadinanza italiana e uno su due ha meno di 18 anni

Quanti sono i rom e i sinti in Italia? I dati sono in continua evoluzione e quasi mai precisi. Ma dai rapporti annuali di Istat e Associazione 21 luglio, la cifra che emerge è di una popolazione tra i 120 e i 180 mila cittadini, quasi tutti con passaporto Ue. Di questi 26 mila vivono in baraccopoli formali (insediamenti gestiti dalle amministrazioni locali) e informali (campi abusivi), o nei centri di raccolta monoetnici. Scolarizzazione, occupazione, abitazione e salute sono i temi più trattati nei Tavoli per l’inclusione creati nelle prefetture delle grandi città. Il ministero dell’Interno da tempo lavora con i Comuni per mettere in atto un piano, finanziato dall’Europa, che abolisca una volta per tutte i campi. Ma i progetti non decollano, o vanno molto a rilento.
I RISCHI
Dati alla mano, sono 148 le baraccopoli formali distribuite in 87 comuni di 16 regioni da Nord a Sud, per un totale di circa 16.400 abitanti, mentre 9.600 è il numero di presenze stimato all’interno di insediamenti informali. Ovvero, tutti quei campi abusivi e tollerati, all’interno dei quali spesso si creano incendi e incidenti di ogni genere, proprio perché mancano la luce elettrica, l’acqua corrente e le condizioni igienico-sanitarie di base. Le baraccopoli formali, invece, si stima che siano composte da un 43 per cento di persone con la cittadinanza italiana, mentre sono 9.600 i rom originari dell’ex Jugoslavia di cui circa il 30 per cento – pari a 3 mila – è a rischio apolidia. Nelle baraccopoli informali e nei micro insediamenti vive un 86 per cento di cittadini di origine romena, il 55 per cento è composto da minori. Tutti giovanissimi che vivono la situazione abitativa con il rischio di «gravi ripercussioni sulla salute psico-fisica e sul percorso educativo e scolastico». 
La scuola è proprio il tema sul quale ha insistito il ministro dell’Interno Matteo Salvini, parlando di interventi per migliorare le condizioni di vita di bambini e adolescenti, costretti all’accattonaggio e ai furti. Per contrastare il fenomeno ha chiarito che procederà alle espulsione degli irregolari, anche se in molti casi non sarà possibile perché molte di queste famiglie Rom e Sinti sono ormai italiane da tempo.
La Capitale detiene il primato del maggior numero di insediamenti presenti, 17 in totale di cui 6 formali e 11 cosiddetti «tollerati». Inoltre a Roma – denuncia il Rapporto – «nonostante le aspettative create a fine 2016 con la Memoria di giunta e il Progetto di inclusione Rom presentato dalla sindaca Raggi che aveva come obiettivo il graduale superamento dei campi nomadi presenti all’interno della città, nel 2017 non è stato di fatto avviato alcun processo di inclusione».
Caso a parte è quello dei cittadini apolidi. L’Italia ha aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dei casi di apolidia: in base a questa convenzione, gli stati contraenti sono tenuti a riconoscere come cittadini coloro che nascono sul proprio territorio ma che sarebbero apolidi perché non possono acquisire la cittadinanza da nessuno dei due genitori. Nel 2013, la Comunità di Sant’Egidio aveva stimato la presenza di circa 15 mila appartenenti alla comunità Rom, provenienti dalla ex Jugoslavia, privi di documenti e per questo potenzialmente apolidi. Corrispondevano più o meno al 10 per cento dei Rom presenti sul territorio italiano comprendendo anche giovani nati in Italia, ma privi della cittadinanza italiana. In questi casi, possono essere vari i fattori che hanno ostacolato il riconoscimento della cittadinanza e lo status di apolide: dalla mancata registrazione delle nascite alla perdita dei documenti per i cittadini della ex Jugoslavia fino al mancato rilascio del passaporto da parte dei Consolati dei paesi di origine.
I PIANI
Negli ultimi anni sono stati diversi i ministri impegnati a risolvere l’emergenza abitativa e l’integrazione: da Maroni a Minniti, ma si è sempre rivelato un flop. Anche se nel triennio 2017-2019 è ripreso il Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini. Un’evoluzione del progetto già sperimentato in 13 città metropolitane italiane (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) con vari obiettivi: migliorare l’inclusione scolastica e il successo formativo dei minori, contrastare la dispersione scolastica di tali bambini e ragazzi, favorire l’accesso ai servizi locali e la partecipazione attiva delle famiglie nomadi.