il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2018
L’Ufo di Putin: sangue e milioni, ma che bello!
Sembra un’astronave atterrata nel cuore di San Pietroburgo, dallo Sputnik in giù i russi hanno sempre avuto un debole per lo spazio. Lo fosse davvero, probabilmente sarebbe costato meno: 13 anni di lavori, 8 vite umane, 43 miliardi di rubli che al cambio fanno poco meno di 600 milioni di euro ma con la svalutazione (e gli extra) valgono anche di più. Alcuni dicono un miliardo, altri addirittura un miliardo e mezzo, oltre il record del nuovo Wembley di Londra. Centro nevralgico dei Mondiali di Russia, che ha speso miliardi in impianti e presto non saprà che farsene, il Krestovsky Stadium forse è il più caro del pianeta: un monumento a tutti i mali del Paese e al gigantismo di questa manifestazione. “Il nostro orgoglio”, sintetizzano le autorità locali.
Bello è bello. Di più, grandioso: collocato nell’omonima isola, circondato dalle acque, di notte si illumina di colori fluorescenti. Si estende su oltre 80 ettari di superficie, praticamente il doppio di qualsiasi stadio normale.
È l’unico impianto che ha sia il tetto che il terreno mobile: il primo si chiude in caso di pioggia o freddo in inverno, il secondo scorre ed esce dalle tribune, per ospitare concerti ed esporre l’erba al sole. Gli spalti sono poggiati sul campo, i seggiolini comodissimi ed ergonomici, la visuale perfetta da ogni punto. Disegnato dall’architetto giapponese Kurokawa nel 2004, quando nessuno ancora pensava di ospitare i Mondiali, doveva esser pronto in 3 anni, invece il suo autore non ha fatto in tempo a vederlo: è morto prima.
Qui ancora si chiedono come sia stato possibile perdere completamente il controllo di un progetto in origine da soli 300 milioni, interamente privati (avrebbe dovuto pagare la famosa Gazprom). Da tutti gli scandali, inchieste (ancora in corso) e contenziosi è venuto fuori un solo arrestato: Marat Oganesyan, ex vice-governatore di San Pietroburgo, accusato di aver intascato centinaia di migliaia di euro con un contratto falso di schermi tv. Il classico capro espiatorio. Le vere colpe vanno ricercate nella corruzione a ogni livello, nella svalutazione del rublo, nella disorganizzazione.
Nel 2010 la costruzione sembrava a buon punto, ma la Russia si aggiudicò i Mondiali e il progetto fu completamente rivisto per adeguarsi ai requisiti Fifa, portando la capacità da 50 mila a 65 mila spettatori (per lo Zenit sarà dura riempirlo). Così i lavori si sono fermati per 2 anni e sono ripartiti quasi da zero: intanto lo stadio era divenuto ufficialmente un investimento pubblico, col governo locale costretto a tagliare fondi a scuole e ospedali.
Fino all’ultimo ci sono stati allagamenti, cedimenti, problemi di ogni genere. Al primo test sul terreno, a esempio, si è scoperto che il manto inferiore era troppo duro e il pallone rimbalzava come una pallina magica: da rifare. I seggiolini, abbandonati per anni alle intemperie in attesa del montaggio, si sono rovinati e hanno dovuto essere riacquistati. Otto operai sono morti lavorando in violazione di tutte le norme di sicurezza. Un altro è stato sparato alla testa dopo un alterco con un autista impazzito di una betoniera. A un certo punto sull’isola è arrivato persino un gruppo di sacerdoti ortodossi, a benedire i cantieri maledetti. “Il Krestovsky è come un grande buco nero, in cui qualsiasi cosa può accadere”, raccontano gli abitanti del quartiere. Nel bene e nel male, lo stadio è entrato nell’immaginario collettivo e divenuto un nuovo simbolo di San Pietroburgo. “È un valore aggiunto per la nostra squadra, lo Zenit, e per la nostra città che ora non ha nulla da invidiare a Mosca”, ci dice Pavel Belov, presidente del Comitato sportivo di San Pietroburgo. E gli scandali, gli sprechi, le inchieste? “Acqua passata, purtroppo sono cose che capitano ogni tanto. Ma per noi l’importante è avere finalmente il nostro stadio: non è bellissimo?”.