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 2018  giugno 18 Lunedì calendario

Fabrizio Corona scomunica don Mazzi: «Appenda il crocifisso al chiodo»

«Don Mazzi? Non l’ho mai visto. Cerca solo di farsi pubblicità mediatica col mio nome. Mai avuto un rapporto umano o di cura con lui. Deve appendere il crocefisso al chiodo. Non è un buon prete. Dice solo cazzate».
«Mughini? Un povero pagliaccio. Lo compro e lo metto in giardino. I mie libri vendono più dei suoi».
«La Lucarelli? Su di me ha raccontato solo falsità. E ora non ha neppure il coraggio di affrontarmi in un dibattito pubblico».
No, non è stata un’arena. È stato un pollaio. Roba da Amadori, più che da amatori. Massimo Giletti ha chiuso in «bellezza». Con i dati d’ascolto che certamente gli daranno ragione. Il conduttore voleva vincere facile. E ha vinto facilissimo. Come la Russia conto l’Arabia Saudita nella partita d’esordio del Mundial. 
Per la sua ultima puntata di «Non è l’arena» (ieri su La7) Giletti ha scelto il «meglio»: Fabrizio Corona, il Messi del prime time coatto. Con la differenza che Corona i rigori non li sbaglia. Mai. Forse anche per merito di una certa sua familiarità con la cella di rigore. In assenza degli Azzurri, italiani davanti alla tv, con Corona pronto a mettere in rete i palloni messi sul dischetto dai tanti «arbitri» in campo col fischietto in bocca, il cartellino in mano e, soprattutto, un enorme pelo sullo stomaco. A porre domande «scomode» un plotone di maître à penser che – presi singolarmente – sono pure degnissime persone; epperò ingeriti tutti insieme provocano effetti irrefrenabili e irriferibili. Ma tant’è. Per il gran coronesco botto finale, gettoni di presenza a go-go. E relativo parterre di «intervistatori» (alcuni veri, altri presunti, altri decisamente bolliti). Un pentolone in cui Fabri si è tuffato a peso morto, rosolando quanti ambivano a rosolare lui. Giochetto scontatissimo. Roventi cucchiaiate di brodaglia si sono, come da copione, riversate sulle teste di vari malcapitati. 
Un «processo» tv a senso unico, in cui «San» Corona e il suo avvocato se la sono cantata e se la sono suonata. Con tanto di autoassoluzione. E, addirittura, autobeatificazione. Senza contraddittorio. Senza controparti.
Appuntamento al prossimo Corona-show. Dopo la visione, areare la stanza.